LA TRAGEDIA
DEGLI ISTRIANI E DEI DALMATI
RACCONTATA DA CHI L’HA VISSUTA
SULLA PROPRIA PELLE
RACCONTATA DA CHI L’HA VISSUTA
SULLA PROPRIA PELLE
La prima volta che ho letto qualcosa sull’Istria fu quando, da adolescente, ebbi tra le mani “La quinta stagione” di Fulvio Tomizza: un libro che mi ha dato molto e che, purtroppo, non è stato più ristampato ma - ne sono convinto - andrebbe proposto come lettura soprattutto ai ragazzi dei primi anni delle medie superiori. In seguito, per una tesina da elaborare in quinta superiore, conobbi un gruppo di esuli istriani e dalmati che oltre a darmi una copia del Trattato di Osimo, mi parlarono ampiamente delle loro condizioni di uomini e donne brutalmente cacciati dalla propria regione e del loro esodo.
Nel 2000 fu pubblicato il libro “L’esodo - La tragedia negata degli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia”, di Arrigo Petacco, il quale ripropone il dramma e la morte di migliaia di italiani vittime della “pulizia etnica” voluta dall’allora regime comunista jugoslavo. I nostri connazionali uccisi dai miliziani di Tito e gettati nelle foibe (1945-1946) sono ancora oggi sepolti nei libri di storia perché bollati come “fascisti” quando, in realtà, la loro unica colpa consisteva nel trovarsi in una terra di confine. Ciò che Petacco ha raccontato nel suo libro è il risultato di una lunga ricerca condotta negli archivi, e della lettura della fitta memorialistica e pubblicistica che narra le vicende giuliane. Vicende e drammi, però, che sono rimasti circoscritti per lo più nell’ambiente degli esuli istriani, giuliani e dalmati: larga parte della società italiana tende ad ignorarli anche per l’oscurantismo esercitato, fino a pochi anni fa, dai dirigenti di quello che fu il Partito Comunista Italiano. C’è dunque un capitolo della nostra storia nazionale da riscrivere, anche per far luce su altre morti come, ad esempio, i partigiani uccisi nella strage di Porzus avvenuta il 7 febbraio del 1945 quando un gruppo di comunisti italiani ammazzò altri partigiani, loro connazionali, perché “bianchi” e colpevoli di voler difendere l’integrità territoriale del loro Paese dalle mire espansionistiche di Tito.
Gli italiani che furono costretti a lasciare la propria terra di origine, nonché ciò che possedevano in termini di case e poderi, furono circa trecentomila, mentre circa un migliaio furono le persone, tra cui donne e bambini, quelle infoibate. Ma che cos’è una “foiba”? Regina Cimmino, che ha sperimentato sulla propria pelle cosa significhi essere un’esule istriana, ha scritto:
«Sono aperture naturali nell’aspro Carso, coperte da poca vegetazione, sono vere trappole con l’apertura ad imbuto rovesciato, profonde e spesso, in quest’Istria così avara d’acqua, sul fondo scorre un fiume».
La Cimmino continua:
«Quanti furono gettati dentro? Donne, bambini, amici, nemici, civili, militari non serviva una colorazione politica, soprattutto bastava essere italiani. Non era solo un salto nel vuoto, dopo aver subito le peggiori torture, venivano legati l’uno all’altro con il fil di ferro spinato, sparavano al primo che con il suo peso avrebbe trascinato ancora vivi i compagni in quella che sarebbe stata la loro tomba, su cui nessuno avrebbe mai pianto. Morire per le fratture, le ferite, dissanguati, per fame: meglio morire subito. Eppure uno riuscì a salvarsi, ai polsi due braccialetti di sangue, cosa nel cuore e nella mente?».
Riflettendo proprio su questi ultimi passi tratti dal libro della signora Regina Cimmino, ho strutturato l’intervista che segue. [...]
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Tratto dal volume "Una memoria per gli emigranti", a cura di Carlo Silvano, Ogm editore 2007, pp. 96, euro 10. A Treviso la distribuzione del volume è seguita dalla TREDIECI Distribuzione, via Fratelli Rosselli 19/5 - 31050 Villorba (Treviso) tel. 0422 440031, fax 0422 963835.
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