Ruderi e case abbandonate:
testimoni silenziosi di storie perdute
Viaggiare in treno o in auto offre a chi ha lo sguardo attento l’opportunità di osservare, spesso distrattamente, ruderi e abitazioni abbandonate. Case che, pur nel loro stato di decadenza, raccontano storie silenziose di un tempo lontano. Muri che un tempo sono stati il rifugio di famiglie e ora giacciono in rovina, circondati dalla natura che li ha inglobati. Questi ruderi, ormai dimenticati, sono testimoni di un’epoca in cui la vita rurale e il sacrificio quotidiano si intrecciavano in un’esistenza che oggi sembra ormai appartenere a un’altra era.
Immaginare il passato di queste case abbandonate è un esercizio che affonda nelle pieghe della fantasia, ma anche nella tristezza di ciò che è stato e che non possiamo più rivivere. Quanti anni fa sono state edificate? Con quale fatica, con quanti sacrifici? Ogni pietra, ogni travatura, ogni tegola racconta una storia di sudore e speranza. Queste abitazioni non erano semplicemente mura e soffitti, ma luoghi dove sono nate le famiglie, dove i giovani sposi si sono scambiati le promesse di una vita insieme, dove i primi bambini hanno visto la luce e dove i sogni si mescolavano con il duro lavoro nei campi.
Erano case semplici, costruite con le mani di chi non aveva molto, ma aveva tanta forza e dignità. Lavoro nei campi, sudore sotto il sole cocente, e poi la fatica di procurarsi il cibo, che a volte scarseggiava, ma che comunque veniva cucinato con amore e attenzione, nel caldo abbraccio del focolare. La povertà era una compagna quotidiana, ma non impediva alle famiglie di crescere, di affrontare la vita con coraggio, sostenute dalla speranza che il domani potesse essere migliore.
Non erano rare le notti fredde, quando il vento sferzava le pareti di legno e pietra, ma l’amore della famiglia, la preghiera condivisa, il calore del fuoco, riuscivano a scaldare i cuori. Le risate dei bambini, il suono dei passi nel corridoio, le voci che si mescolavano in una quotidianità che oggi ci appare lontanissima. Ma poi vennero i lutti con gli anziani che lasciavano questa vita terrena guardando i familiari dal proprio letto, e purtroppo anche le perdite dei giovani che partivano per il fronte con la cartolina della chiamata alle armi in mano e con lo sguardo delle madri che li vedevano andare via.
Le case che oggi vediamo abbandonate, con i tetti crollati, le finestre rotte, le pareti ricoperte dall’edera, sono diventate solo un eco di quel passato. I campi, che un tempo erano coltivati e vivificati dal lavoro delle mani esperte, ora spesso sono deserti, lasciando spazio alla natura che lentamente si riappropria dei suoi spazi. Alcuni ruderi sono ormai invasi da alberi che crescono all’interno, radici che sfondano i pavimenti e ramificazioni che si intrecciano tra le travi. Una testimonianza di come la vita abbia preso il sopravvento sulla morte di questi luoghi, lasciando che la natura ricominciasse da dove l’uomo aveva interrotto il suo cammino.
Tante di queste abitazioni abbandonate non possono, purtroppo, più raccontarci nulla. La memoria di queste case è andata perduta nel tempo, e ciò che rimane è solo una traccia, un ricordo che si disperde ogni giorno di più. Eppure, guardandole, possiamo immaginare il fiorire di quelle famiglie, i momenti di gioia, ma anche il dolore, la sofferenza, le difficoltà che hanno attraversato. Le generazioni che sono passate attraverso queste stanze sono ormai lontane, e con loro si è persa una parte della nostra storia, quella che vive nei dettagli quotidiani, nei gesti più semplici, ma che racconta la vera essenza della vita.
Queste case, un tempo piene di vita, oggi sono solo scheletri di ciò che furono, ma continuano a portare con sé il ricordo di un’epoca che non possiamo dimenticare. La loro solitudine è una metafora della nostra, come se il passare del tempo portasse via con sé le persone, le storie e perfino le memorie. Eppure, mentre ci allontaniamo da queste case, un pensiero ci resta: forse, proprio in questi angoli dimenticati, si nascondono ancora storie di vita, che aspettano solo di essere raccontate, se solo qualcuno fosse disposto ad ascoltarle. (Carlo Silvano)
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