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La crisi della Sinistra e il significato dell’astensionismo nei referendum: riflessioni in vista dell’8-9 giugno 2025

 


 La crisi della Sinistra

e il significato dell’astensionismo nei referendum:

riflessioni in vista dell’8-9 giugno 2025

di Carlo Silvano

 

Nei giorni 8 e 9 giugno 2025 gli elettori italiani saranno chiamati a esprimersi su cinque quesiti referendari abrogativi: quattro di questi riguardano il mondo del lavoro, con l’intento di cancellare alcuni capisaldi del “Jobs Act”, e uno propone la modifica dei criteri per l’acquisizione della cittadinanza italiana. La campagna referendaria è sostenuta principalmente da forze della Sinistra politica, in particolare il Partito Democratico e il sindacato della CGIL. Tuttavia, a fronte dell’apparente rilancio di un’agenda progressista, emerge un dato inquietante: una crescente disconnessione tra le battaglie ideologiche di una parte della Sinistra e le reali priorità della società italiana.

Il lavoro, senza dubbio, è una delle aree più critiche del nostro sistema socioeconomico. Eppure, i quesiti referendari sembrano affrontare il tema più sul piano simbolico che su quello pratico. In un Paese che soffre di una cronica disoccupazione giovanile, salari stagnanti, diffusione del lavoro precario e crescente emigrazione qualificata, l’abrogazione di alcune disposizioni del Jobs Act appare come una risposta parziale e non risolutiva. Molti cittadini percepiscono queste iniziative come tentativi di rilegittimazione politica da parte di attori sindacali e partitici in crisi di rappresentanza, piuttosto che come strumenti per un effettivo miglioramento delle condizioni lavorative.

Il quesito relativo alla cittadinanza, che mira a ridurre da dieci a cinque gli anni di residenza necessari per ottenere la cittadinanza italiana, è ugualmente divisivo. Se da un lato esso viene presentato come misura di inclusione, dall’altro appare scollegato dalle reali urgenze sociali e istituzionali. In una fase storica in cui molti cittadini si sentono insicuri, disillusi e distanti dallo Stato, è legittimo chiedersi se l’estensione della cittadinanza debba essere una priorità, o se non rischi piuttosto di diventare uno strumento politico per allargare il consenso elettorale futuro.

In questo quadro si colloca un fenomeno già noto, ma sempre più rilevante: l’astensionismo. È importante distinguere, in termini politologici, tra l’astensionismo elettorale e quello referendario. Nel primo caso, ossia alle elezioni politiche o amministrative, l’astensione è generalmente interpretata come disillusione, disaffezione o protesta nei confronti del sistema politico. È un segnale debole, che spesso non produce effetti immediati se non in termini di legittimazione politica generale. Al contrario, nel caso dei referendum abrogativi, la scelta di non votare può assumere un significato del tutto diverso.

La Costituzione italiana prevede che, perché un referendum abrogativo sia valido, debba essere raggiunto il quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto¹. In questo contesto, l’astensione può diventare una scelta consapevole e strategica: chi non condivide l’obiettivo del referendum — in questo caso, l’abrogazione di norme esistenti — può decidere di non recarsi alle urne proprio per contribuire al mancato raggiungimento del quorum. Tale comportamento, spesso criticato come segno di passività democratica, è invece del tutto legittimo e riconosciuto come forma di espressione politica.

Ne consegue che la partecipazione a questi referendum non può essere letta con le stesse chiavi interpretative delle consultazioni elettorali. Anzi, la previsione di una bassa affluenza — confermata da diversi sondaggi — indica un malessere più profondo: una parte significativa dell’elettorato non ritiene questi quesiti sufficientemente rilevanti o urgenti da giustificare la mobilitazione al voto². L’astensione, in questo caso, diventa una forma attiva di dissenso nei confronti non solo del merito dei quesiti, ma anche dell’approccio ideologico e poco concreto con cui alcuni partiti, in particolare della Sinistra, stanno conducendo la campagna.

L’impressione diffusa è che la Sinistra italiana abbia progressivamente smarrito il contatto con i bisogni reali dei cittadini. Inseguendo battaglie simboliche e identitarie, rischia di rendersi irrilevante di fronte alle sfide concrete del Paese: sanità pubblica in affanno, costo della vita in aumento, crisi abitativa, degrado dei servizi locali. Mentre la società italiana evolve e si confronta con difficoltà sempre più complesse, la proposta politica appare ancora ancorata a paradigmi ideologici che parlano più a se stessa che alla comunità.

L’8 e il 9 giugno, dunque, non sarà solo una prova per i quesiti referendari, ma anche un test sulla capacità della Sinistra italiana di riconnettersi con il tessuto reale della società. Se fallirà, non sarà solo una sconfitta su un piano tecnico-legislativo. Sarà il segnale che serve un nuovo modo di fare politica: meno ideologia, più ascolto.

 


Note

  1. Art. 75 della Costituzione Italiana: “È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedano 500.000 elettori o cinque Consigli regionali. […] La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi”.

  2. Cfr. Il Tempo, “Referendum 8-9 giugno, sondaggi e quorum: quanto voteranno gli italiani”, 10 maggio 2025. Disponibile su: iltempo.it

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    Il presente blog è curato da Carlo Silvano, autore di numerosi volumi. Per informazioni cliccare sul seguente collegamento: Libri di Carlo Silvano 

     


     

     


     

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