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Il profeta Maometto? Non fu mai un paladino della pace

 

(immagine trovata in internet)

Giustizia e potere

nella Medina del VII secolo:

il caso dei Banu Qurayza

 Il profeta Maometto?

Non fu un paladino della pace

La figura di Maometto, fondatore dell’islam e profeta della rivelazione coranica, è stata nel tempo oggetto di letture profondamente diverse, che spesso oscillano tra la venerazione spirituale e l’analisi storica. Tuttavia, se si vuole comprendere il ruolo reale da lui ricoperto nella comunità di Medina nel VII secolo, è necessario andare oltre la narrazione religiosa e valutare anche il suo operato come capo politico e stratega militare. Uno degli episodi più emblematici in tal senso è quello che vide coinvolta la tribù ebraica dei Banu Qurayza, un evento che difficilmente può essere conciliato con l’immagine di un paladino della pace.

I Banu Qurayza erano una delle tre principali tribù ebraiche di Medina e, come le altre, avevano stipulato un patto con Maometto e la nascente umma islamica. Tuttavia, durante la drammatica battaglia del Fossato (627 d.C.), quando le forze meccane e i loro alleati cinsero d’assedio la città, la tribù fu accusata di aver tradito gli accordi e di aver segretamente sostenuto il nemico. A seguito della vittoria musulmana e del fallimento dell’assedio, si pose il problema della sorte da riservare a questi presunti traditori.

Maometto, pur detenendo l’autorità necessaria per prendere una decisione, scelse di affidare il giudizio a Sa'd ibn Mu'adh, capo dei Banu Aws, alleati tanto dei musulmani quanto dei Banu Qurayza. Sa'd pronunciò una sentenza dura e irrevocabile: la condanna a morte per tutti gli uomini adulti della tribù, la schiavitù per donne e bambini e la confisca dei beni. La decisione fu accolta favorevolmente da Maometto e prontamente eseguita. Secondo le fonti islamiche classiche, tra cui la Sirat Rasul Allah di Ibn Ishaq, gli uomini giustiziati furono diverse centinaia, in quello che può essere considerato uno dei massacri più noti della storia delle prime comunità islamiche¹.

L’episodio, sebbene collocabile all’interno del quadro delle consuetudini tribali dell’Arabia preislamica, evidenzia in modo chiaro il lato coercitivo e bellico della gestione di Maometto. In un mondo in cui le alleanze erano fragili e i tradimenti spesso puniti con brutalità, egli seppe sfruttare le logiche della guerra per rafforzare il proprio controllo politico, legittimando le azioni militari anche attraverso il discorso religioso. La gestione dei prigionieri, la spartizione dei bottini e la repressione delle tribù non sottomesse non furono episodi sporadici, ma elementi costanti nella sua strategia di consolidamento del potere.

L’esecuzione dei Banu Qurayza non fu, infatti, un caso isolato. Altri episodi bellici segnano la carriera politica e militare di Maometto, tra cui le battaglie di Badr (624), Uhud (625) e Khaybar (628), ognuna caratterizzata da atti di violenza, confische, deportazioni e gestione strategica della vittoria. Durante la campagna contro Khaybar, per esempio, un’altra comunità ebraica fu sottomessa con la forza: la popolazione fu costretta alla resa e i loro beni furono distribuiti tra i combattenti musulmani². Anche in quell’occasione, la linea adottata da Maometto fu quella del capo militare determinato a eliminare ogni resistenza.

Nonostante i tentativi di alcuni interpreti moderni di leggere tali azioni alla luce del contesto storico, rimane difficile ignorare la sistematicità con cui la violenza fu impiegata come strumento di potere. La narrazione agiografica che dipinge Maometto come uomo di pace e misericordia si scontra inevitabilmente con la documentazione storica che ne mostra anche il volto intransigente e pragmatico.

L’episodio dei Banu Qurayza, pur potendo essere inserito nel quadro delle pratiche di giustizia tribale del tempo, rappresenta un momento cruciale per comprendere la natura duale del profeta: non solo guida spirituale, ma anche condottiero capace di decisioni spietate per garantire la sopravvivenza e l’egemonia della sua comunità. Il suo operato, se giudicato secondo i valori contemporanei, non può essere ascritto a un ideale di pacifismo. Al contrario, esso testimonia la complessità di un’epoca in cui religione e politica si fondevano inestricabilmente e in cui il potere si affermava spesso con la spada.


Note e bibliografia

  1. Ibn Ishaq, Sirat Rasul Allah, trad. A. Guillaume, The Life of Muhammad, Oxford University Press, 1955. Trad. it. parziale in: Francesco Gabrieli, Maometto e le grandi conquiste arabe, Milano, Mondadori, 1979.

  2. W. Montgomery Watt, Muhammad at Medina, Oxford University Press, 1956. Trad. it.: Maometto alla Medina, Roma, Newton Compton, 1993.

  3. Marco Schöller, Maometto. Vita e opere del fondatore dell’Islam, Milano, Einaudi, 2003.

  4. Francesco Gabrieli, L’Islam nella storia, Roma-Bari, Laterza, 1982.

  5. Alessandro Vanoli, Storia del mondo islamico (VII–XVI secolo), Torino, Einaudi, 2010.

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