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Vivere in Francia per riscoprirsi italiano

Originario di Cortona, in provincia di Arezzo, l'ing. Andrea Di Muzio si è trasferito in Francia circa 9 anni fa. La sua storia – e quella della famiglia che ha creato poco oltre il confine con l'Italia – è molto simile a quella di tanti giovani italiani che, dopo la laurea, cercano all'estero migliori condizioni di vita. “Attualmente – racconta Andrea – lavoro in un'azienda che produce prodotti informatici. I miei familiari, come quelli di mia moglie, vivono ancora in Italia ed in Italia abbiamo lasciato alcuni dei nostri affetti più cari. I legami sono stretti, non tanto con la comunità come insieme, quanto con alcune persone e alcune tradizioni. Per fortuna essere emigranti oggi è profondamente diverso rispetto a cinquant'anni fa: le distanze si sono molto accorciate e la tecnologia ci viene in aiuto per mantenere rapporti quotidiani con famiglia e amici. In più ho scelto di vivere a una manciata di chilometri dal confine: l'Italia così - seppur non quella delle mie origini - è a meno di un'ora di macchina.

Andrea, puoi parlarmi della tua scelta di vivere e lavorare in Francia?
La nostra - mia e della mia compagna - è iniziata come un'avventura che sarebbe dovuta durare un annetto. Prima ancora di finire gli studi universitari ho ricevuto un'offerta per lavorare in Francia, e in mezza giornata abbiamo deciso di provare a vedere cosa voleva dire vivere all'estero. Mai avremmo pensato che questa si sarebbe poi trasformata in una situazione definitiva.

E oggi?
Oggi confermiamo quella scelta ogni giorno, per diversi motivi: vivere all'estero ci mette in una posizione doppiamente particolare, in Francia siamo “gli italiani”, in Italia siamo “i francesi”... può sembrare infantile ma è bello sentirsi sempre “speciali”; vivere entrambe le culture ti permette di giudicare gli aspetti dell'una e dell'altra molto più obbiettivamente e con maggior cognizione di causa; ultimamente l'Italia sta attraversando un periodo poco felice e le differenze con la Francia si acutizzano di giorno in giorno sia sulla qualità della vita che su quella delle infrastrutture.

Sotto il profilo lavorativo...
Il paragone con il nostro Paese non può essere nemmeno fatto: nella mia professione l'Italia offre pochissime possibilità di crescita e di gratificazione. Ho anche la fortuna di lavorare in un gruppo multi culturale che mi permette, ogni giorno, di imparare cose nuove sia dal punto di vista professionale che umano.

Parliamo di "integrazione". Per te cosa vuol dire?
Non credo di riuscire a dare una definizione vera e propria. Potrei usare la tecnica del flusso di pensiero per cercare di fartelo capire: studio, fatica, adattamento, scoperta, soddisfazione, diversità... mi fermo qui perché rischierei di sfociare nell'incomprensibile.Cercando di riassumere, l'integrazione è ciò che rende uno straniero parte viva di una società: è un processo lungo e laborioso - a mio avviso infinito - che ti riporta bambino, costretto a reimparare come camminare, come parlare, come comportarti. Nel mio caso “integrazione” vuole principalmente dire imparare una lingua nuova, imparare nuove tradizioni, nuove leggi e nuove istituzioni: una scoperta continua che ti permette e costringe ogni giorno ad imparare qualcosa di nuovo. Ma in fin dei conti la base culturale dei miei due mondi non è poi tanto diversa. Non tutto, comunque, è sempre stimolante e positivo: in tanti momenti “integrazione” vuol dire sentirsi straniero a casa tua, sentirsi “diverso” in senso brutto, quasi discriminato. Ma ritengo obbligo per ogni emigrante quello di fare il massimo sforzo possibile per raggiungere un buon livello di integrazione, come è obbligo civile e morale di ogni abitante di una comunità aiutare uno straniero in questo suo percorso, come un maestro aiuta un alunno in difficoltà.

Come italiano che vive all'estero, quali sono le tue considerazioni sul dibattito politico e culturale che in Italia è sorto attorno alle problematiche dei clandestini?
Credo siano tanto squallide quanto inevitabili. L'Italia sta vivendo negli ultimi anni quello che la Francia ha vissuto intorno agli anni Cinquanta del secolo scorso. E a mio avviso né la classe politica né la popolazione sono preparati, proprio come la Francia non lo era a suo tempo. Essere un emigrante permette anche qui di avere una visione preferenziale sul fenomeno, capendo sia le ragioni di una parte che dell'altra. E' importante accogliere chi viene a portare ricchezza al nostro Paese - sia come forza lavoro che come cultura -, ma allo stesso tempo si deve garantire, e pretendere, l'integrazione, specialmente per quello che riguarda il rispetto della legge e dei costumi. Da quello che posso vedere ogni volta che rientro in Italia, il nostro Paese è ormai de facto una società multi etnica; questo aspetto lo vedo come un valore, un potenziale, e non come una minaccia, purché lo Stato - inteso come istituzioni e popolo - riesca a fornire le basi per trasformare questo valore da potenziale in attuale.

Vivendo in Francia c'è un valore o una caratteristica del tuo essere italiano che hai "riscoperto"?
Tantissime. Non ho mai sentito dentro di me tanto forte l'orgoglio della mia nazionalità quanto adesso. La cultura, il cibo, la capacità di adattamento e di trarre sempre il massimo da ogni situazione.

Nella città dove risiedi hai modo di frequentare altri italiani?
Sì. Non so se si tratta di un caso e di un qualche legame misterioso, ma mi sono ritrovato a stringere amicizia con molti italiani residenti nella mia stessa zona. Probabilmente perché questa condizione di emigranti ci accomuna, o forse perché sono le tradizioni e i costumi che ci rendono più facile il dialogo, ma non in maniera ghettizzante: mi ritrovo spesso a condividere cene con tavolate di amici in cui si parlano 3-4 lingue diverse, e si cambia lingua in base alla persona con cui si interagisce.

Il tuo scrittore italiano preferito?
E' una domanda estremamente difficile, e sono sicuro che una volta data la risposta me ne pentirò infinite volte volendola sostituire con altrettanti nomi diversi. Ma l'impulso mi porta a dire Luigi Pirandello: mi ritrovo in perfetto accordo con la sua visione dell'uomo e della società; credo che pochi siano riusciti a descrivere così lucidamente i processi che regolano il modo che abbiamo di interagire tra uomini. Voglio però affiancare un altro nome, anche se in molti storceranno il naso, quello di Fabrizio De André...

Perché?
Anche se i suoi testi erano destinati ad essere musicati, lo considero uno dei poeti migliori del secolo scorso. [a cura di Carlo Silvano]
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L'ing. Andrea Di Muzio cura il seguente sito internet:

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