“La Calanca è una valle selvaggia e improduttiva. I suoi abitanti sono poveri e molti di loro vanno all’estero a guadagnarsi il pane, qui e là, anche commerciando con resina e pece, per ricavare da nutrire i vecchi e i bambini di casa. Uomini e donne, tutti quelli che sono in grado di camminare, all’inizio dell’inverno lasciano la valle e si sparpagliano nelle Tre Leghe, nella Confederazione e in Germania, dove campano stentamente fin verso l’estate, quando rincasano con ciò che sono riusciti a guadagnare e a risparmiare” (Ulrich Campell, 1510-1582).
Recuperare le radici: l’emigrazione nella Val Calanca
La Val Calanca si trova nel cuore delle Alpi, tra le vette maestose e i boschi secolari: è un luogo che ha conosciuto nel corso dei secoli una storia di duro lavoro e sacrificio, ma anche di resilienza e speranza. Le parole di Ulrich Campell, scritte oltre cinque secoli fa, ci offrono uno sguardo penetrante sulla vita dei suoi abitanti, che sono di lingua ed etnia italiana, sottolineando la dura realtà dell’emigrazione che ha caratterizzato questa comunità per generazioni.
Campell descrive la Val Calanca come una valle selvaggia e improduttiva, abitata da persone povere costrette a cercare fortuna altrove, lontano dalle loro case. Queste parole, sebbene pronunciate secoli fa, risuonano ancora oggi con una potenza e una verità sorprendenti. L'emigrazione è stata una realtà tangibile per molti abitanti della Val Calanca.
Oggi, come ieri, le ragioni che spingono le persone a lasciare la propria terra sono molteplici e complesse. La ricerca di opportunità economiche migliori è spesso il motore principale di questo esodo. Come osserva Campell, gli abitanti della Val Calanca si recavano all’estero per guadagnare il pane, talvolta lavorando come piccoli mercanti di resina e pece. Queste attività commerciali rappresentavano una fonte di sostentamento essenziale per nutrire le famiglie rimaste a casa.
Tuttavia, l’emigrazione non è mai un’esperienza facile. Significa separarsi dalle radici, dalla propria comunità e spesso dalla propria famiglia. Significa affrontare l’ignoto, adattarsi a nuove culture e ambienti, e lottare per sopravvivere in terre straniere. Eppure, nonostante le sfide e le difficoltà, gli abitanti della Val Calanca hanno continuato a partire, mossi dalla speranza di un futuro migliore per sé e per i propri cari.
Ma mentre riflettiamo sull’emigrazione passata della Val Calanca, è importante considerare anche le implicazioni etiche di questo fenomeno. L’emigrazione può portare benefici individuali, come un miglior tenore di vita e opportunità di lavoro, ma può anche contribuire alla perdita di identità culturale e al decadimento delle comunità di origine. È fondamentale, dunque, trovare un equilibrio tra il perseguimento di nuove opportunità e il mantenimento dei legami con le proprie radici.
In un’epoca caratterizzata dalla globalizzazione e dalla mobilità senza precedenti, la questione dell’identità e dell’appartenenza assume un’importanza sempre maggiore. Gli abitanti della Val Calanca, così come tutti coloro che si trovano ad affrontare l’emigrazione, devono interrogarsi su ciò che significa essere legati alla propria terra di origine. È necessario riconoscere e valorizzare i valori, le tradizioni e la storia che rendono unica ogni comunità, alimentando un senso di appartenenza e di orgoglio per le proprie radici.
Ricordare la storia dell’emigrazione nella Val Calanca non è solo un esercizio di memoria, ma anche un invito a riflettere sulle sfide e sulle opportunità che questa esperienza ha portato. È un richiamo alla necessità di preservare e proteggere le identità culturali e le tradizioni locali, mentre si abbracciano le nuove opportunità offerte dalla globalizzazione.
In definitiva, recuperare le radici significa onorare il passato, vivere pienamente il presente e prepararsi per il futuro. Gli abitanti della Val Calanca, così come tutti coloro che si trovano ad affrontare l'emigrazione, devono trovare un equilibrio tra il mantenimento dei legami con la propria terra di origine e l’apertura verso il mondo esterno. Solo così potranno costruire un futuro che sia autentico, prospero e radicato nelle proprie tradizioni e valori più profondi.
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