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Strumentalizzazioni del presepe: quando il sacro diventa polemica

 

Strumentalizzazioni del presepe:

quando il sacro diventa polemica

Negli ultimi anni, diverse iniziative legate ai presepi natalizi nelle chiese italiane o in ambienti religiosi, hanno suscitato polemiche perché percepite come distorsioni del significato originale della Natività. Un caso emblematico si è verificato a Mercogliano (Avellino) nel dicembre 2023, quando un presepe all’interno di una chiesa mostrava un Gesù Bambino con due figure materne e senza san Giuseppe. L’intento dichiarato era rappresentare realtà familiari contemporanee, ma l’iniziativa è stata duramente contestata come «provocatoria» e «blasfema», e ha alimentato un dibattito acceso all’interno della comunità cattolica e politica italiana.

Un altro episodio significativo riguarda il presepe esposto in Vaticano nel dicembre 2024, realizzato da artigiani di Betlemme, con il Bambino Gesù adagiato su una kefiah palestinese. Il gesto ha però sollevato critiche da parte di cattolici, esponenti ebraici e di osservatori internazionali, preoccupati per il messaggio politico implicito e per il presunto tentativo di «palestinizzazione» di Gesù. Alla fine, dopo le polemiche, l’elemento è stato rimosso; la Santa Sede ha indicato che il bambinello sarebbe stato comunque collocato nella notte di Natale, come da tradizione.

Tali vicende nascono dall’idea di usare il presepe come spazio artistico e simbolico per parlare di gender, guerre o migrazioni. Alcuni contesti esplicitano questa intenzione politica: ad esempio, negli ultimi anni presepi con simboli sociali o ideologici — come barconi di migranti o allusioni a temi politici — sono stati promossi anche in Italia e all’estero, generando indignazione perché percepiti come distorsioni del messaggio religioso originario.

Il punto centrale della controversia è il significato del presepe secondo la tradizione cattolica: la rappresentazione plastica della nascita di Gesù, con la Sacra Famiglia, i pastori e i Magi, è un gesto di fede e culto nato dall’esperienza di san Francesco d’Assisi nel 1223 e divenuto nei secoli simbolo della Natività e della presenza di Dio tra gli uomini.

Quando questo linguaggio viene piegato a fini ideologici, molti fedeli percepiscono una doppia ferita: spirituale e identitaria. Modificare la Sacra Famiglia, usare simboli politici o interpretazioni lontane dalla narrazione evangelica può apparire non solo come una manipolazione estetica, ma come un attacco al cuore della fede, cioè all’annuncio dell’Incarnazione. L’arte e la catechesi possono certamente dialogare con la storia e l’attualità, ma lo devono fare nel rispetto del senso religioso profondo della scena, senza relativizzare ciò che rappresenta: il mistero di Dio fatto uomo.

Riconoscere il dolore dei fedeli di fronte a certi gesti significa capire che il presepe non è un semplice oggetto decorativo o uno spazio di creatività personale, ma un simbolo sacro. Inserirvi simboli politici o ideologici può diventare una forma di irriverenza nei confronti di Dio e di chi prega nella Chiesa. Al contrario, valorizzare il presepe significa ricordare che esso è innanzitutto un atto di adorazione: una piccola grotta dove il credente incontra Cristo. In questo silenzio è possibile testimoniare le sofferenze e le speranze del mondo, ma senza che il sacro venga piegato al messaggio umano del momento. (Carlo Silvano)

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