NAPOLI - Qui di seguito propongo ai miei lettori un'intervista all'avvocato Giovanni Formicola, penalista e Reggente regionale dell'Associazione "Alleanza cattolica", riguardante la volontà di alcuni politici di riformare la legge sul diritto di cittadinanza. E' il primo passo per avviare un dibattito, in questo blog, su questo tema così fondamentale per il nostro Paese.
Avvocato
Giovanni Formicola, cosa indica l'espressione latina "ius soli"?
Ius
soli - e non ius solis, come insistono a dire e scrivere giornalisti
anche di rango nazionale, e non solo "dialettali", che
definirebbe un improbabile "diritto del sole" - è
espressione con la quale s'intende collegare i diritti di
cittadinanza - pochi pensano ai correlativi doveri - al luogo di
nascita: chi nasce in Italia ("solum"), anche se nessuno
dei genitori è cittadino italiano, consegue il diritto ("ius")
ad esserlo su richiesta (non v'è alcun automatismo, ovviamente).
Secondo
lei, i cittadini stranieri che vivono e lavorano in Italia con la
propria famiglia, sono penalizzati nel godere diritti fondamentali
come, ad esempio, quelli legati all'assistenza medica,
all'istruzione, alla libera circolazione sul territorio della
Repubblica e all'acquisto di proprietà?
Bisogna
distinguere tra i regolari integrati e i clandestini. Cioè tra chi
paga le tasse - non ne faccio un feticcio, e ne riconosco il
carattere vessatorio -, secondo le regole proprie per ognuno, e chi
non le paga. Nel primo caso, io non credo che sussistano difficoltà
o penalizzazioni, ed ovviamente se sussistessero sarebbero ingiuste.
Nel secondo, mi pare ovvio che ci siano e ogni logica buonista e
assistenzialistica che pretenderebbe di annullarle sarebbe solo un
modo di aggravare e diffondere una situazione, la clandestinità, del
tutto negativa.
Anche
se in Italia la poligamia è bandita, si verificano tuttavia molti
casi riguardanti cittadini stranieri che - pur avendo un solo reddito
e pur vivendo in affitto - fanno arrivare in Italia la loro seconda
moglie come badante. L'eventuale applicazione dello "isu soli"
può, secondo lei, offrire nuove opportunità a chi intende praticare
la poligamia in Italia?
Direi
proprio di sì. Si verrebbe a partorire in Italia - anche
clandestinamente - per conquistarne per i figli - e poi per sé - la
cittadinanza. Avremmo un forte incremento alla formazione di quelle
"enclaves" di irriducibili che - pur cittadini e sebbene
immigrati non di prima, ma talvolta anche di terza, quarta
generazione - intendono vivere integralmente, e quindi anche in
chiave pubblica, ad onta della propria cittadinanza, secondo le
tradizioni religiose, morali e culturali del proprio mondo d'origine,
rifiutando e talvolta abiurando l'integrazione con il mondo in
cui vivono e sono nati. Questo multiculturalismo, che giustappone le
comunità pur nella stessa "città", sarebbe favorito
quando non causato dallo "ius soli": le immagini delle
“banlieu” parigine e la settimana di fuoco vissuta dalla
integrazionista e civilissima Svezia, per non parlare del
“Londonistan” governato dalla “shari'a”, diverrebbero attuali
anche fra noi. Se negli USA, in cui vige lo ius soli, ciò
non accade è perché anzitutto il senso di appartenenza e identità
nazionale è forte e diffuso - si respira con l'aria, non come
da noi dove è invece vilipeso o oscurato da un nichilismo che è la
nuova cifra del vecchio e invecchiato mondo nostro -, ma anche perché
l'immigrazione è principalmente latina, quindi religiosamente e
culturalmente, se non etnicamente, omogenea.
Quanto
da lei detto ora sulla poligamia, vale anche per il doloroso fenomeno
dell'infibulazione?
Credo
che valga per tutti i fenomeni connessi alle specifiche tradizioni e
regole etico-religiose, nonché alle culture, degli immigrati
irriducibili all'integrazione epperò, nel caso in forza dello ius
soli, titolari dei diritti di cittadinanza. Dalle barbare pratiche,
più etniche che religiose invero, da lei ricordate, al diritto
di famiglia - con le odiose condizioni di soggezione della donna -,
fino al giorno festivo - con la pretesa di sostituirlo alla
domenica cristiana e quindi europea.
Ci
sono stranieri che pur avendo commesso reati molto gravi non possono
essere facilmente espulsi perché parenti di cittadini italiani, e
quindi si verificano situazioni molto complesse: da un lato lo
straniero non può essere espulso, dall'altro non può ottenere un
permesso di soggiorno e quindi non può lavorare; tipico è il caso
dello straniero che ha un figlio da una cittadina italiana, oppure ha
un fratello che ha ottenuto la cittadinanza italiana perché lavora
da anni in Italia e non ha mai avuto problemi con la giustizia. Quali
sono in merito le sue considerazioni tenendo presente la volontà di
alcune forze politiche di approvare lo ius soli?
La
questione è certamente complessa e può essere affrontata solo
mediante un riordinamento globale delle regole dell'immigrazione, che
tengano conto sia del diritto a spostarsi e del dovere
dell'accoglienza, sia delle esigenze proprie - culturali e
politiche prima ancora che economiche - dei Paesi e delle nazioni
meta d'emigrazione.
Secondo
lei, nell'attuale contesto socio-economico, l'Italia aveva proprio
bisogno di un Ministero all'integrazione?
E'
l'ennesima eco delle astrazioni giacobine ed ideologiche di cui
soffre da oltre due secoli l'Occidente. Il neo-sindaco di Roma ha
istituito un assessorato allo stile, e ho detto tutto. Queste
denominazioni risentono dell'intento costruttivistico e, perciò
solo, oppressivo di un certo modo d'intendere la politica, che
dovrebb'essere soltanto (si fa per dire) tutela del bene comune, cioè
delle condizioni sociali che favoriscano lo sviluppo esistenziale -
religioso, spirituale, morale, culturale, materiale - dei
singoli e dei corpi, dalla famiglia ad ogni legittima
associazione volontaria, senza mai dimenticare la specifica
dimensione pubblica della religione, in particolare in Europa ed in
Occidente della Chiesa cattolica. Quindi, la politica è certo
visione, ma soprattutto conservazione dell'esistente e non tentativo
di manipolarlo per trasformarlo secondo un progetto ideologico; è
tutela e applicazione della giustizia; è difesa; è solidarietà; è
sussidiaria, non causa della vita individuale, familiare e sociale in
genere. L'integrazione non è e non può essere un progetto
ideologico. Può essere solo un fatto organico, in un quadro
normativo semplice e preciso, che sul piano delle tradizioni
religiose e culturali nulla imponga e nulla proibisca, se non per
tutelare l'ordine pubblico e l'identità nazionale, ma che sia fermo
nel difendere la tradizione giuridica, culturale e religiosa del
Paese ospite. Altrimenti, si avrà la sostituzione del popolo e -
in un tempo in cui le vesti si stracciano fin troppo in difesa
della biodiversità e della conservazione delle specie animali e
vegetali - sarebbe un vero peccato lasciar sparire, anche per
effetto di denatalità, popoli dalle antiche, alte e nobili
specifiche tradizioni religiose e culturali. Come il nostro.
Sarebbe quella che Christopher Caldwell ha chiamato “L'ultima
rivoluzione dell'Europa” (titolo di un libro la cui lettura
consiglio a tutti), nel senso che dopo di essa l'Europa, come
continente culturale e già faro di civiltà umanistica e
teocentrica, semplicemente non esisterebbe più. (a cura di Carlo Silvano)
Commenti