La Confederazione Svizzera è nata
ufficialmente nel 1291 e nel corso dei secoli si è estesa su un territorio che attualmente
comprende ventisei cantoni con quattro lingue nazionali: tedesco, francese,
romancio e italiano. Quest’ultima lingua si parla nel Canton Ticino e in alcune
valli del Grigioni, cioè in un’area che confina con l’Italia e, anzi, entra ad
imbuto nella regione Lombardia. Come mai il Canton Ticino rientra nel
territorio della Confederazione elvetica e quali legami ha con gli svizzeri? È
su questo doppio interrogativo che si basa l’intervista che segue alla
giornalista ed antropologa ticinese Roberta Nicolò[1].
Roberta
Nicolò, da quanti anni vivi in Ticino?
Sono
Ticinese, sono nata e cresciuta qui, così come la mia famiglia, ma mi sono
spostata all’estero per studio quando avevo 20 anni e sono rientrata nel 2014.
In Italia si percepisce la Svizzera come uno stato di lingua
tedesca, ma in realtà è una confederazione di Stati con quattro lingue
ufficiali e quattro lingue nazionali. Abbiamo, quindi, una “Svizzera” di lingua
tedesca ed altre di lingua francese, italiana e romancia. Dal tuo punto di
vista, questa pluralità di lingue e culture si presenta in maniera armoniosa
oppure noti delle discordanze?
Ti dirò che alcuni italiani immaginano addirittura che
esista una lingua unica ovvero lo svizzero. La storia della Confederazione
nasce dall’unione di genti di lingua e cultura diversa che hanno scelto di
vivere insieme nel rispetto reciproco delle proprie peculiarità, ma garantendo
le une alle altre sostegno. È il modello federalista. In Ticino parliamo
italiano e impariamo le lingue nazionali (francese e tedesco) fin dalle scuole
elementari. Questo ci permette di non percepire grandi discordanze, siamo in
grado di esprimerci e farci capire in ogni parte della Svizzera. Naturalmente l’italiano,
così come il romancio, è parlato da una minoranza. La lingua più diffusa in
Svizzera è certamente il tedesco, per questo occorre stare attenti e vigilare
sull’importanza delle differenze linguistiche e anche culturali nel nostro
Paese. Ci sono, a questo proposito, diversi progetti di scambio linguistico e
culturale, soprattutto per i giovani, promosse dalla Confederazione e delle
apposite commissioni che garantiscono attenzione al plurilinguismo a livello
federale.
(Roberta Nicolò)
La lingua italiana viene parlata nel Canton Ticino e in
alcune valli del Grigioni: si tratte di zone che nel XVI secolo dal Ducato di
Milano entrarono a far parte della Confederazione Helvetica: fu un passaggio
volontario da parte dei Ticinesi oppure si verificò in seguito ad una conquista
armata?
La storia è lunga e complessa, cercherò di farne un breve
sunto. Considera che la Confederazione data la sua nascita nel lontano 1291.
Siamo all’epoca dei Comuni. Per il Ticino la prima a giurare fedeltà ai Cantoni
Confederati, e in particolare al Canton Uri, è stata la valle Leventina nel
1403. Negli anni successivi inizia l’adesione spontanea delle città e delle
valli ticinesi (Bellinzona, Locarno, Blenio, Lugano, ecc) che viene difesa,
armi in pugno, in un tira e molla durato molti anni. Solo nel 1803, con l’Atto
di Mediazione napoleonico, si pone fine alle ostilità e il Ticino diventa
cantone svizzero con i confini che ancora oggi conosciamo. Va ricordato che la
Valtravaglia e la Valcuvia, nell’attuale provincia di Varese; la terra in cima
al lago di Como e anche parte della Val d’Ossola erano svizzere nel 1512. Quindi,
guardando la storia, si è trattato di un atto di libera scelta e della volontà
del popolo ticinese di aderire al modello Svizzero. Scelta difesa con la forza.
I ticinesi pur essendo di lingua, etnia e cultura italiana,
si “sentono” e si “atteggiano” come degli svizzeri, ma a tuo avviso uno
svizzero di lingua tedesca che vive a Zurigo o a Basilea oppure uno svizzero di
lingua francese che abita a Ginevra o a Losanna, percepisce i ticinesi come
suoi “connazionali”?
Noi siamo Svizzeri. Svizzeri italiani. Non credo sia una
questione di atteggiamento. Non ci si atteggia italiani, svizzeri o tedeschi.
Ci si riconosce come appartenenti ad una comunità. Io sono nata in Ticino, così
come mio padre prima di me e mio nonno prima di lui. Ma un cittadino nato
altrove, che vive in Ticino da 20 anni, può riconoscersi esattamente quanto me
nel modello di società ticinese e quindi sentirsi svizzero allo stesso modo.
Zurigo e Bellinzona sono realtà differenti. Ma lo sono anche Bellinzona e
Milano, nonostante condividano la stessa lingua e la stessa radice culturale.
Allo stesso modo un Bleniese si potrebbe dire diverso da un abitante di
Chiasso. Dipende sempre dal punto di osservazione e se scelgo di cercare le
divergenze o le convergenze. E così come mi posso sentire diverso, mi posso
anche sentire uguale. Quindi riconoscermi vicino a un milanese, piuttosto che a
un basilese o a un abitante di Appenzello. Il punto è condividere un’idea
generale di modello sociale. Quindi, per tornare alla tua domanda, credo che un
abitante di Ginevra percepisca il Ticino come parte della Svizzera e allo
stesso tempo possa percepirlo anche come diverso dal Canton Ginevra, senza che
questo sia un problema. Lo stesso abitante ginevrino percepisce come diverso
anche il Canton Svitto o il Canton Berna. Ma questo è parte integrante della
società federalista. Una confederazione nella quale i Cantoni hanno grandi
autonomie e mantengono le proprie peculiarità linguistiche e culturali. Non
sono tutti uguali. L’importante è l’equilibrio e l’equità a livello federale,
che deve essere garantita a tutti.
Secondo te, il distacco tra svizzeri di lingua tedesca e
ticinesi è dovuto solo alla cattiva nomea degli italiani che, soprattutto dal
sud Italia, ma anche dal Veneto, si sono stabiliti in Svizzera negli anni
Cinquanta e Sessanta per motivi di lavoro oppure questa “insofferenza” si
sarebbe, comunque, manifestata anche senza la presenza degli emigranti italiani
nei cantoni di lingua tedesca?
Gli italiani che negli anni Cinquanta e Sessanta sono
arrivati in Svizzera per lavorare sono, oggi, svizzeri a tutti gli effetti. La
domanda da per scontato che ci sia un distacco che in realtà non c’è. Il Ticino
è un territorio legato alla Confederazione da 600 anni di storia comune. Credo
che sia proprio sbagliato l’approccio. Se osserviamo, a livello politico, la
risposta dei Cantoni ai vari temi che regolarmente, a livello federale, vengono
sottoposti a votazione popolare si può facilmente notare che si creano di volta
in volta degli assi differenti tra regioni linguistiche e tra Cantoni e che la
posizione del Canton Ticino, quando si discosta, lo fa su temi legati al frontalierato.
Ovvero quei temi che creano disuguaglianze economiche e sociali. Questo lo si è
visto anche durante l’emergenza Covid19. Il Ticino, geograficamente inserito ad
imbuto in terra lombarda, si è confrontato con il problema virus prima del
resto della Svizzera e in maniera nettamente più grave. Ecco che qui si possono
creare delle frizioni, ma sta al modello federale risolverle nel rispetto sia
delle leggi federali, sia nel rispetto delle peculiarità dei singoli Cantoni.
Non sto dicendo che in Svizzera ci sia l’armonia perfetta, che si vada tutti
d’amore e d’accordo. I contrasti e gli atteggiamenti di animosità esistono, ma
non c’è un Cantone sistematicamente stigmatizzato dalla politica. Come si
manifesta allora l’animosità? In Grigioni “non amano” gli abitanti di Zurigo e
magari li sfottono con dei soprannomi. Tra romandi e basilesi non si vedono di
buon occhio se si parla di tifoserie calcistiche, ed ecco i cori allo stadio.
Di nuovo il punto d’osservazione è fondamentale per comprendere i campanilismi.
Questo non solo in Svizzera, ma in tutti i paesi del mondo. Quello su cui,
invece, occorre tenere gli occhi aperti è sul se e sul come il campanilismo si può
tradurre in pratica e in azione politica.
I ticinesi percepiscono il “disprezzo” nei loro confronti da
parte dei loro concittadini di lingua tedesca?
Onestamente la parola disprezzo non la prendo neppure in
considerazione. Non c’è disprezzo nei confronti dei ticinesi. Questa percezione
non so da dove arrivi. Può esserci animosità su certi temi. Può esserci una
differenza di pensiero. Non c’è di sicuro disprezzo.
La storia – o leggenda – di Guglielmo Tell è alla base del
sentimento nazionale svizzero. Quali riflessioni o considerazioni ti senti di
proporre ad un ticinese che vede in questa figura il suo eroe nazionale?
La storia di Guglielmo Tell racchiude in se i principi
fondanti della Costituzione Svizzera. Per questo, ognuno di noi, che sia
ticinese, bernese, vodese o svittese si riconosce in questa leggenda. Ci racconta
il valore dell’unità, della libertà, del senso di comunità e del rispetto delle
differenze che sono alla base della Confederazione. Quello che per noi
rappresenta Guglielmo Tell non è diverso da quello che per un italiano potrebbe
rappresentare Giuseppe Garibaldi, o per un americano George Washington. Gli
eroi nazionali, in generale, servono per veicolare un legame con i valori
fondatori di una comunità e la Svizzera è una comunità. Poi, anche qui, si può
fare un esercizio: se sposto il punto d’osservazione sul macro la Statua della
Libertà incarna la libertà a livello universale. Lo riconosce un italiano, un
congolese, un tedesco, uno svizzero, ecc. Quindi, ritornando a Guglielmo Tell,
quello che mi sento di dire è che, mai come oggi, i valori che festeggiamo il Primo
agosto (festa nazionale svizzera) debbono essere ricordati e fatti nostri,
perché nel principio di unità e di coesione nel rispetto delle differenze sta
la bontà del modello svizzero, che da così tanti anni sa unire lingue e culture
diverse.
(a cura di Carlo Silvano)
[1] Dopo gli studi in antropologia culturale a Siena, Roberta
Nicolò inizia a lavorare in ambito culturale e sociale in Toscana. Nel 2014
rientra in Svizzera dove attualmente risiede e lavora. I temi principali di
cui si occupa sono: cultura, cinema, società, educazione, multiculturalità,
tradizione, linguistica, problematiche sociali, emigrazione, immigrazione e
identità.
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