Il libro con Dieng - "I nuovi italiani" (titolo provvisorio) - è terminato e propongo ai frequentatori del mio blog una nuova intervista.
[...] Dieng, dopo
che hai ottenuto il “permesso di soggiorno”, cosa hai fatto?
Sono
venuto al nord per trovare un lavoro e anche per avere la possibilità
di studiare. In Veneto sono venuto con Elhadji, un amico conosciuto a
Caserta: lui doveva andare a Passarella di San Donà. Io l'ho seguito
e ho trovato una realtà ancora più dura: non voglio esagerare se
dico che, quasi quasi, Caserta era un albergo nei confronti di
Passarella, un centro che mi metteva molto tristezza. Quando arrivai
lì, faceva un freddo cane e non c’era neanche una fonte di calore:
misi giù la mia borsa e andai al bar per prendere un thè, e le
persone del posto mi ridevano dietro chiamandomi “tubab”, cioè
“bianco”. Per me cominciò un altro calvario e quando sentii
parlare di un prete chiamato don Giuliano Vallotto, il quale ha fatto
tanto per gli immigrati, mi diedi subito da fare per andare da lui
perché dava lavoro ed alloggio agli immigrati. Andai a Cavaso del
Tomba per parlargli della mia situazione. Don Giuliano mi disse di
ritornare il giorno dopo e sulla strada del ritorno mi fermai a
Bassano per dormire, e lì mi accadde una cosa molto spiacevole.
Racconta...
Si
era fatto tardi e andai in un albergo per avere una camera. Il
gestore, però, mi disse che non aveva più camere disponibili perché
l'albergo era pieno. Allora dovetti uscire fuori e mentre andavo via,
notai un bianco con una valigia entrare. Mi insospettii e, senza
farmi notare, lo seguii fin dietro al portone dell'albergo: da lì
vidi che compilava un documento per poter pernottare, ottenendo così
la chiave di una camera. A quel punto chiamai i carabinieri, ai
quali, venuti sul posto, spiegai ciò che mi era accaduto. Grazie
all'intervento dei carabinieri ebbi una camera in quell'albergo e
così evitai di trascorrere una notte al freddo. Il giorno dopo ero
di nuovo da don Giuliano e, insieme ad altri cinque immigrati, andai
a Fanzolo a lavorare in una falegnameria. E' stato con don Giuliano
che ho trovato il mio primo vero lavoro e un'adeguata sistemazione
alloggiativa. Anche quando andai alla questura di Treviso, non trovai
le file che ci sono oggi, e proprio lì ricordo che incontrai un
bravo signore che mi aiutò molto, tanto che in seguito ho lavorato
anche per lui.
E
dopo l’esperienza di Fanzolo?
Sempre
grazie a don Giuliano andai a Treviso a lavorare in un'azienda che
faceva prodotti semilavorati per pasticceria. Era un bel lavoro, che
mi offriva anche una discreta sistemazione; restava però il problema
di vivere a contatto con senegalesi che volevano continuare a vivere
come in Africa. In seguito, da semplice operaio, ho conseguito la
patente e ho incominciato a fare le consegne con il furgone della
ditta, dove ero benvoluto perché considerato un lavoratore corretto
nei confronti di tutti, anche se spesso litigavo con la figlia del
titolare che ci credeva schiavi moderni. Era una ragazza che ci
chiamava al lavoro come voleva e quando voleva: quando mi vengono in
mente certi suoi modi di fare nei confronti degli immigrati, non
posso fare a meno di pensare che se un tempo certi squallidi
personaggi venivano in Africa a prendersi gli schiavi, adesso sono
gli schiavi ad andare da loro. Una volta sistematomi sotto il profilo
lavorativo ho iniziato anche ad inserirmi a pieno titolo nella realtà
locale: nel quartiere ero amico di tutti, e andavo anche a giocare a
calcio con la squadra del posto.
Qual
è stata la prima impressione che hai avuto quando hai conosciuto don
Giuliano Vallotto?
Una persona per bene che non si è mai risparmiata per aiutare gli immigrati, senza distinzione di origine né di religione. Ci ha sempre consigliato di integrarci. Don Giuliano non si limitava a trovarci il lavoro, ma imponeva ad ogni imprenditore che faceva richiesta di lavoratori, di offrire anche una sistemazione abitativa dignitosa.
Una persona per bene che non si è mai risparmiata per aiutare gli immigrati, senza distinzione di origine né di religione. Ci ha sempre consigliato di integrarci. Don Giuliano non si limitava a trovarci il lavoro, ma imponeva ad ogni imprenditore che faceva richiesta di lavoratori, di offrire anche una sistemazione abitativa dignitosa.
Don Vallotto ti ha mai chiesto di convertirti al cattolicesimo?
Mai!
Anzi non ci parlava mai di religione.
In oltre venti anni che sei in Italia, qualcuno ti ha mai chiesto di abbandonare la tua fede islamica per diventare cristiano?
Nessuno.
Secondo te perché don Vallotto ti ha aiutato?
Secondo te perché don Vallotto ti ha aiutato?
Perché
è una persona generosa. La Chiesa cattolica è caritativa e da uomo
di Chiesa don Giuliano Vallotto ha seguito una raccomandazione del
Vangelo che invita ad aiutare il prossimo. Basta vedere in giro per
il mondo come i volontari cristiani danno aiuto a chi ne ha bisogno,
soprattutto nella mia povera Africa.
In base alla tua esperienza gli immigrati di religione cattolica ricevono più aiuto rispetto a quelli che hanno un'altra fede religiosa?
No.
La Chiesa cattolica non ha mai fatto distinzioni. Anzi, direi che ha
dato più aiuti alle famiglie musulmane che a quelle cristiane.
Nel
Vangelo secondo Matteo, al capitolo 5 versetti 43-48, si legge: <
Questa
indicazione la sposo in pieno: vorrei che fosse capita e applicata in
tutte le religioni e società.
In base alle tue conoscenze quali aiuti materiali gli islamici offrono alle persone bisognose che appartengono ad altre religioni?
Gli
islamici non aiutano neanche i lori fratelli musulmani, figurarsi se
aiutano gli altri.
Cosa
pensi della presenza dei crocifissi nei luoghi pubblici?
In
un Paese a cultura cristiana, sede del cattolicesimo, se lo Stato lo
permette, il crocifisso può stare in tutti i luoghi pubblici, perché
è un simbolo. Rappresenta anche la storia di questo Paese, ed è
ovvio che non può influire negativamente sulla capacità di
apprendimento, né sul buon funzionamento dei servizi.
Le
polemiche create intorno al crocifisso nei luoghi pubblici sono
frutto di pura demagogia: uno che non vuole vedere il crocifisso, non
deve venire in Italia.
Soltanto
nel caso in cui sia lo Stato ad emettere una legge che lo vieta,
allora andrà rimosso; mi risulta tuttavia, che il crocifisso non ha
nessuna influenza sul credo degli immigrati. Perché allora, seguire
la demagogia di una parte dei cittadini italiani che hanno cercato di
influenzare i musulmani e usarli?
Nei
luoghi pubblici si va per altri motivi, non per guardare i
crocifissi. L’importante è che gli uffici, le scuole, gli enti
pubblici, funzionino bene per la società, altrimenti potremmo
pensare sia giusto anche togliere le foto dei presidenti o dei re che
in ogni paese sono affisse nelle pubbliche sedi, le cui ideologie non
sempre sono condivise da tutto il popolo.
(a cura di Carlo Silvano)
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