Intervista allo storico Sebastiano Parisi: attraverso le pagine del suo ultimo libro, racconta l'eroismo dei nostri soldati durante lo sbarco degli alleati in Sicilia. Numerosi i documenti inediti che svelano fatti sconosciuti o taciuti per comodità politica.
(Sebastiano Parisi)
Sebastiano Parisi è un ricercatore storico specializzato nella Seconda Guerra Mondiale. Grazie alla sua esperienza negli archivi britannici e americani ha pubblicato diversi libri e ha scritto articoli non solo sul tema dei bombardamenti aerei, ma anche sull’invasione alleata della Sicilia e la questione delle regioni italofone non incluse nei confini della Repubblica italiana. Nel giugno 2019 Parisi ha ricevuto una borsa di studio dalla Lincoln University, partecipando alla Heritage Dot Conference con due proposte sul tema della “ricolorazione” delle fotografie storiche in bianco e nero. Cura anche una rubrica sul mensile Storia in Rete di nome Target Area incentrata sui bombardamenti aerei durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Parisi, infine, è reggente del circolo “Caterina Segurana” affiliato all’Associazione Culturale Nizza Italiana ed è socio dell’Associazione Culturale Lamba Doria.
Sebastiano, quali sono state le tue fonti scritte utilizzate per scrivere il tuo libro sullo sbarco in Sicilia e pubblicato con l'editore Macchione?
Giunto al mio quarto libro ho preso una certa dimestichezza coi documenti inglesi e americani. Ho voluto, però, in questa occasione dare grande valore anche alle testimonianze e in questo libro c’è una parte ad hoc dedicate a loro.
Nel tuo volume vengono riportati anche documenti militari inediti?
Assolutamente sì. In particolare, grazie a questi documenti militari di origine americana, sono ricostruiti per la prima volta in maniera precisa alcuni momenti importanti della guerra sulla costa tirrenica messinese: lo sbarco a Brolo, i bombardamenti navali di Patti e Milazzo, lo sbarco di Bivio Salicà, di cui ho identificato la spiaggia e l’intera “teatrale” successione di eventi che portò a questa importante operazione nel pieno della Baia di Oliveri. La novità più sorprendente in cui mi sono imbattuto riguarda, però, gli avvenimenti di Capo Calavà. Siamo nel territorio di Gioiosa Marea, qui la strada statale 113 corre lungo la scogliera rocciosa per poi imboccare una galleria. Questa, assieme alla strada in uscita verso Messina, crollarono, ritardando fortemente l’avanzata americana su Messina e rischiando di far perdere loro la “gara” non dichiarata con gli inglesi su chi sarebbe stato il primo a raggiungere la Città dello Stretto. Ebbene, questo episodio è generalmente attribuito ad un sabotaggio tedesco. Ho scoperto che non è andata così, ma accaddero degli eventi davvero incredibili. Tutto questo grazie a documenti militari inediti che per la prima volta sono stati pubblicati.
In merito allo sbarco sulla costa di Oliveri hai intervistato anche dei testimoni oculari?
Ho intervistato gli anziani, all’epoca bambini o ragazzi, a partire proprio dai miei parenti. È stato un viaggio attraverso le mie stesse origini, utile anche a capire chi sono e da dove vengo. Oltre ai fatti bellici, è stato interessante capire come gli oliveresi vissero quel periodo nella vita quotidiana, dove si nascondevano dalle bombe, cosa mangiavano, cosa pensavano, nonché come si presentava la stessa Oliveri, da sempre divisa tra il mare che la bagna e la montagna che la avvolge alle spalle, come in un abbraccio.
In base alle tue informazioni, quanti militari italiani erano presenti in Sicilia al momento dello sbarco?
La 6a Armata italiana contava circa 200.000 uomini, ma solo una parte di questi apparteneva alle forze effettivamente combattenti. Vi erano, spalmate lungo le coste dell’intera isola, le divisioni costiere, col ruolo di incassare il primo urto dell’invasione. Si trattava di circa 10.000 uomini, ma i numeri non devono ingannare. Sulle spiagge dove sbarcavano reggimenti e reggimenti di soldati britannici capitava, ad esempio, che vi fosse una sola compagnia a resistere o, addirittura, anche un solo plotone, e i pochi cannoni nell’entroterra venivano “zittiti” col fuoco aperto dagli alleati con le artiglierie navali, l’aviazione, i commandos e i paracadutisti. Sento di dover dire, per rendere l’idea, che in quelle condizioni fu un eroe chi tra i nostri soldati ebbe il coraggio di sparare anche un sol colpo di moschetto. Spesso le spiagge erano prive di mine, come i vari capisaldi a volte superati dalle truppe nemiche senza essere subito eliminati. Capitò che resistettero anche per giorni prima di terminare le munizioni e arrendersi. Le divisioni di fanteria, i vari gruppi mobili, contrattaccarono con valore, ma pagarono lo strapotere avversario. A Solarino i piccoli carri armati R35, francesi di preda bellica, si scontrarono contro gli Sherman britannici: fu letteralmente la “carne contro l’acciaio”.
La nostra Marina intervenne?
No, per salvaguardare le navi da un’ovvia fine, e quindi parteciparono con valore solo sommergibili, motosiluranti e truppe delle piazzeforti.
E l’aviazione?
Fu praticamente annientata e poco riuscì a fare anche se a Gela un caccia Macchi mitragliò il generale statunitense Patton mancandolo per un soffio. Episodi, seppur valorosi, che non potevano cambiare la Storia.
In genere dai libri di storia scolastici emerge che in Sicilia i militari italiani non reagirono all’invasione degli alleati…
A gettare discredito sul comportamento dei soldati italiani in Sicilia furono innanzitutto gli alleati stessi, che dipinsero le difese italiane spesso come inesistenti, con i nostri militari che scappavano o si arrendevano. In realtà, come abbiamo detto, le difese erano davvero esigue e il comportamento di quei ragazzi, che nonostante tutto fecero il proprio dovere prima di essere travolti dalla superiorità nemica che si manifestava in uomini e mezzi, fu di grande onore e coraggio. Una cosa è certa: né americani, né inglesi, né tedeschi avrebbero combattuto in quelle drammatiche condizioni. Gli italiani, invece, erano abituati a doversi arrangiare e lo fecero anche in quel caso.
Tra le nostre file ci furono dei disertori?
Certo, ci furono anche diserzioni ed eclatante è il caso di Augusta, ma generalmente queste “fughe” erano causate da ordini contraddittori o addirittura per mancanza degli stessi o latitanza dei Comandi. E poi l’intera faccenda è stata ingigantita molto.
Parliamo ora degli episodi che hanno visto i nostri soldati resistere…
Ce ne sono tanti: citiamo la gloriosa resistenza a Solarino, i contrattacchi a Gela, la battaglia attorno Agrigento, la resistenza della 206a divisione costiera e anche la battaglia di Catania. Insomma, gli italiani lottarono eccome. Fu poi la politica anche a sminuirne la memoria, per convenienza ovviamente. Da un po’ di anni questa vergognosa mancanza è stata colmata e l’opera di tanti ricercatori storici sta ricostruendo la verità, dando finalmente onore a chi ha combattuto ed è morto nell’ultima battaglia del Regio Esercito.
Quali furono, in breve, i fatti di fuoco più rilevanti nella zona di Oliveri?
Il 14 agosto del 1943 Oliveri si trovò al centro di una vera e propria battaglia tra gli americani, schierati sulle colline dietro l’abitato, e i tedeschi posizionati lungo il torrente Mazzarrà. Ci furono morti sia tra militari che civili, in particolare persero la vita a causa di una granata d’artiglieria tedesca due ragazze oliveresi. L’evento colpì molto la popolazione locale, perché quelle giovani persero la vita mentre si trovavano ad un passo dalla salvezza, correndo verso la galleria ferroviaria, adibita a ricovero pubblico.
Nel mio libro tratto i bombardamenti aerei, e i più duri furono su Milazzo e Barcellona Pozzo di Gotto, ma anche della guerra marina e sottomarina tra la baia di Oliveri e non solo, arrivando fino alle antistanti Isole Eolie, di cui ho esplorato gli avvenimenti bellici, anche qui per la prima volta.
Sebastiano, come furono trattati i soldati italiani catturati dagli americani?
Specialmente nelle primissime fasi dello sbarco del 10 luglio 1943, gli americani tendevano a non fare prigionieri, come gli era stato suggerito dal generale Patton. Trattandosi di uomini ancora inesperti, non temprati alla battaglia, i Comandi cercarono di caricarli il più possibile. Accadde che quegli ordini furono presi alla lettera e si conoscono diversi casi in cui i soldati italiani e anche tedeschi furono uccisi subito dopo la resa dagli statunitensi. Citiamo a titolo di esempio le stragi di Biscari e Piano Stella,ma ve ne furono molte e tante altre resteranno per sempre ignote per la mancanza di testimoni. Accadde anche che furono utilizzati scudi umani formati da gruppi di prigionieri per costringere dei capisaldi ad arrendersi e mille altre crudeltà. Poi, con la prosecuzione della campagna, le cose si calmarono, ma era abitudine sia americana che britannica eliminare le retroguardie tedesche in maniera cruenta, specie se la loro resistenza era costata sangue alleato…
Nel libro viene riportato uno di questi episodi?
Sì, e precisamente quello accaduto alle porte di Messina: si tratta dell’ultimo crimine di guerra americano in Sicilia. Tolti comunque gli episodi più duri, nella maggioranza dei casi i prigionieri non subivano particolari maltrattamenti: un certo numero di soldati siciliani, ad esempio, fu liberato quasi subito, come mossa propagandistica per favorire la collaborazione della popolazione.
Lasciamo per un attimo la Sicilia e spostiamoci nel Lazio dove nella zona della Ciociaria furono commesse, ad opera di truppe sotto il comando francese, delle orribili atrocità sulla popolazione locale. Puoi spiegarmi – in breve – cosa accadde e quali sono le tue considerazioni?
A seguito dello sfondamento della Linea Gustav, il generale Juin, al comando del Corpo di Spedizione Francese, secondo un noto documento, peraltro mai rintracciato fisicamente, avrebbe dato alle proprie truppe carta bianca sulle donne e i beni che avrebbero trovato nelle retrovie avversarie. I fatti parlano chiaro: migliaia e migliaia di donne, ma anche uomini, furono stuprate in massa dalle truppe francesi. Queste erano composte in maggioranza da marocchini, ma anche da soldati provenienti da altre colonie africane nonché da bianchi francesi. Non tutti sanno che in alcune occasioni, anche quest’ultimi parteciparono agli stupri. Interi paesi furono devastati, non vennero risparmiati neppure i bambini o gli anziani.
Se in Ciociaria questa tragedia raggiunse proporzioni immani, fu in Sicilia che ebbero luogo i primi stupri dei marocchini aggregati all’esercito francese. Già subito dopo lo sbarco nell’area di Licata si ebbero i primi episodi, che poi raggiunsero livelli particolarmente efferati sui Nebrodi, a Capizzi. Ma qui non la passarono liscia. La vendetta di mariti e parenti delle donne stuprate fu violentissima: i soldati marocchini vennero aggrediti nei loro stessi bivacchi e uccisi nelle maniere più efferate.
Ritorniamo al tuo libro che è rivolto ai lettori di tutte le età, ma ti chiedo di darmi due buoni motivi per invitare un ragazzo a leggerlo…
Innanzitutto, questo libro parla della nostra Storia, quella che da Nord a Sud ha coinvolto tutta l’Italia. Parla di gente nascosta in ricoveri di fortuna per sfuggire alle bombe, di sofferenza, ma anche di rinascita. È la Storia di ognuno di noi. Consiglio ai ragazzi di chiedere ai propri nonni, prima che sia troppo tardi, cos’è la guerra, di farsi raccontare, di capire. Mi piacerebbe che questo libro, oltre all’approfondimento specifico dei fatti bellici nel territorio trattato, diventasse per un ragazzo l’occasione per prendere lo spunto a cercare notizie all’interno della propria famiglia, un’occasione per esplorare le proprie radici, come io stesso ho fatto. Inoltre, questo libro è anche una guida per visitare diversi luoghi di una bellezza travolgente. Sono una persona curiosa e ho sempre avuto una particolare passione verso l’esplorazione, l’avventura. Ho descritto e fotografato bunker, grotte, ricoveri, campi di battaglia e paesaggi spettacolari. Mi piacerebbe che un giovane, col libro alla mano, potesse visitare quei luoghi in prima persona e ammirarne la bellezza, conoscendone la Storia. Il contatto con la natura è oggi più che mai fondamentale e penso che l’unione di varie passioni possa essere una risposta efficace e da proporre alle nuove generazioni.
(a cura di Carlo Silvano)
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