Cittadinanza italiana:
una questione parlamentare,
non referendaria
di Carlo Silvano
La disciplina della cittadinanza rappresenta uno degli snodi fondamentali della sovranità statale. Stabilire chi ha diritto a diventare cittadino, e in quali condizioni, implica decisioni di natura politica, giuridica e valoriale che incidono profondamente sulla struttura democratica e sociale del Paese. Per questo motivo, ogni discussione sulla riforma delle regole per la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri deve essere affrontata in Parlamento e non può essere affidata a un meccanismo referendario, per sua natura sintetico e inadatto a gestire la complessità normativa e sociale del tema.
Nel 2024 è stata lanciata un’iniziativa referendaria per modificare l’art. 9, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, che regola l’acquisizione della cittadinanza per naturalizzazione. La proposta intende ridurre da dieci a cinque anni il periodo di residenza legale in Italia richiesto per ottenere la cittadinanza. Tuttavia, sebbene l’iniziativa abbia superato il quorum delle firme previsto dalla legge, essa solleva questioni di legittimità costituzionale e di opportunità politica.
Secondo una consolidata giurisprudenza costituzionale, il referendum abrogativo previsto dall’art. 75 della Costituzione italiana non può essere utilizzato per introdurre nuove norme, ma soltanto per eliminare disposizioni già in vigore. Il quesito proposto, invece, non si limita a sopprimere una parte del testo, ma ne modifica il contenuto in senso innovativo, riducendo i requisiti richiesti per l’ottenimento della cittadinanza. Tale carattere “propositivo” avrebbe dovuto rendere il referendum inammissibile, come osservato da autorevoli costituzionalisti tra cui Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale¹.
Oltre al profilo formale, vi è una questione sostanziale di grande rilievo: la cittadinanza comporta diritti e doveri che incidono su molteplici aspetti della vita civile, sociale e politica. La sua concessione, soprattutto in un contesto di mobilità globale e di crescenti flussi migratori, richiede un approccio ponderato e multidisciplinare, che tenga conto dell’integrazione sociale, della sicurezza pubblica, dell’unità familiare e della protezione dei diritti fondamentali.
Un punto delicato riguarda la posizione degli stranieri che, una volta in Italia, commettono gravi reati. In alcuni casi, l’ottenimento della cittadinanza consente di evitare l’espulsione amministrativa, prevista dall’art. 13 del Testo Unico sull’Immigrazione (d.lgs. 286/1998). Tuttavia, anche gli stranieri non ancora naturalizzati, ma con legami familiari stabili con cittadini italiani — ad esempio un figlio o un coniuge — godono di tutele che possono impedire l’espulsione, in virtù di quanto previsto dalla normativa italiana e dalle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo².
Tali circostanze, che pongono una tensione tra esigenze di sicurezza pubblica e diritti familiari, confermano la necessità di affrontare il tema della cittadinanza con un’adeguata discussione parlamentare. Non si tratta di negare il valore della partecipazione popolare, ma di riconoscere che esistono ambiti — come la cittadinanza — in cui la complessità giuridica e sociale rende imprescindibile l’intervento del legislatore, l’unico in grado di bilanciare principi costituzionali, obblighi internazionali e interessi generali dello Stato.
In conclusione, la riforma della cittadinanza italiana non può essere affidata a un referendum. È indispensabile un confronto serio, competente e pluralista in sede parlamentare, capace di produrre una normativa che sia al tempo stesso garantista, realistica e coerente con i valori costituzionali della Repubblica.
Note
Mirabelli, C. (2024). Referendum e cittadinanza: i limiti della democrazia diretta. Intervista ad Adnkronos. Disponibile su: https://www.adnkronos.com/politica/referendum-cittadinanza-inammissibile-propositivo_7LFK7lZx33bNmTtOwA1FjX
Cfr. Corte EDU, sentenza Jeunesse c. Paesi Bassi (2014), n. 12738/10, e Corte di Cassazione, sez. I civile, sentenza 24561/2011: entrambe sottolineano l’importanza del rispetto della vita familiare come limite all’espulsione.
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Commenti
un diritto democratico
In vista dei referendum dell’8 e 9 giugno 2025, è fondamentale ricordare che ogni cittadino ha il diritto di scegliere se partecipare o meno al voto. L’articolo 75 della Costituzione italiana prevede che per la validità di un referendum abrogativo sia necessario il raggiungimento del quorum, ovvero la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto al voto.
Decidere di non recarsi alle urne rappresenta, allora, una forma legittima e consapevole di dissenso nei confronti dei quesiti proposti. Non votare, in questo contesto, non significa disinteresse, in quanto è un modo per esprimere chiaramente la propria contrarietà.
È importante sottolineare che l’astensione è una scelta personale e rispettabile. Attaccare o delegittimare chi opta per questa via è contrario ai principi democratici. Ogni cittadino ha il diritto di esprimere il proprio pensiero, anche attraverso il non voto.
Aggiungo anche che negli ultimi decenni, molti quesiti referendari hanno riguardato temi che potrebbero essere affrontati e risolti nelle sedi istituzionali, come il Parlamento. Utilizzare lo strumento referendario per questioni che richiederebbero un dibattito parlamentare approfondito può portare solo a uno spreco delle risorse finanziarie pubbliche.
In conclusione, l'astensione consapevole è una scelta politica legittima.
Difendiamo il diritto di ogni cittadino di esprimere il proprio dissenso nel modo che ritiene più opportuno.
(Carlo Silvano)
#AstensioneConsapevole #Democrazia #Referendum2025
Un gesto che fece discutere. Per Napolitano, però, che dopo l'università aveva sempre militato nella Sinistra, l’astensione non era disinteresse, ma una scelta politica consapevole, un modo per non legittimare uno strumento usato in modo strumentale. L'obiettivo non era quello di far uscire dai seggi un "sì" o un "no", ma, alla luce di una regola contenuta nella nostra Costituzione, invalidare il Referendum e rendere più evidente la volontà popolare.
Dal suo invito possiamo trarre un messaggio forte: anche non votare, se lo si fa per ragioni fondate, è un atto di democrazia.
(Carlo Silvano)
“Se noi raggiungiamo il quorum, vinciamo. A partire dal referendum sulla cittadinanza, tu avrai immediatamente che il giorno dopo quel tuo voto ha determinato che hai due milioni e mezzo di persone che avranno il diritto alla cittadinanza, che altrimenti non avrebbero avuto. Basta un sì e basta andare a votare perché il giorno dopo questo produce un cambiamento”.
Queste parole sono state interpretate da alcuni come un tentativo di ottenere nuovi elettori attraverso la concessione della cittadinanza. Matteo Salvini, esponente della Lega, ha criticato duramente la proposta, affermando che si tratta di una strategia per “garantirsi milioni di voti in più”.