Qui di seguito pubblico una parte di un saggio dell'antropologa Michela Nussio dedicato alla Val Poschiavo (Grigioni Italiano) ed inserito nel volume "Una memoria per gli emigranti" (vedi post precedenti). Anche le foto solo di M. Nussio.
I valposchiavini si identificano come tali in opposizione agli altri, ritenuti diversi in quanto parlanti lingue diverse o aventi culture altre[12]. Le differenze sentite come determinanti per creare un confine tra il “noi” e “gli altri” sono però spesso esaltate o, come afferma Fabietti[13], possono essere anche inventate. La cultura valposchiavina è una cultura che ha subìto e subisce continui influssi esterni: da sud, quindi dall’Italia, e da nord, dalla Svizzera romancia e tedesca. Molte tradizioni, molti usi, sono infatti di provenienza esterna. L’identità deve quindi essere continuamente riaffermata e rielaborata in base a cambiamenti imposti sia dall’esterno che dall’interno. Esiste quindi un continuo “processo di produzione dell’identità”[14] frutto di una negoziazione del gruppo. L’identità è infatti in continuo mutamento, nel tempo e nello spazio.
La situazione linguistica[15] della Val Poschiavo è analizzabile soltanto nel contesto plurilinguistico e multiculturale svizzero di cui è parte. La lingua, essendo parte della cultura di un gruppo, è lo specchio di esso. Il senso di appartenenza a un determinato luogo e la lingua ad esso legata vengono percepiti come incontaminati da elementi non autoctoni, anche se in realtà la cultura e il dialetto contengono molte caratteristiche della lingua e cultura tedesca, italiana e romancia[16]. I valposchiavini, di fronte a tutte le minacce che incombono sulla cultura locale, e di fronte a una progressiva omogeneizzazione delle culture[17], esaltano e proteggono la propria[18]. La situazione linguistica è quindi descrivibile da un lato in termini di identificazione nella propria lingua madre, lingua legata ad un determinato spazio, ad una determinata cultura; dall’altro nella necessità di conoscere lingue e culture altre per poter sopravvivere, quindi di apprendere una lingua del pane[19]. La lingua madre della valle è, ufficialmente, l’italiano[20]. Essa non corrisponde però alla lingua maggiormente utilizzata, la quale non è una lingua ma un idioma, considerato lingua dei sentimenti e quindi lingua spontanea: il dialetto poschiavino[21]. L’italiano è quindi usato soltanto nei momenti ufficiali, nelle scuole, in forma scritta e solo in piccola parte in forma orale, e viene definita in questi termini non potendo chiamare lingua il dialetto. Soprattutto nei dialetti del comune di Poschiavo si possono trovare diversi termini tedeschi o romanci, fenomeno dovuto alla vicinanza con le regioni parlanti queste lingue e causato dal fatto che molti valposchiavini lavorano in queste zone. Il dialetto, uno degli elementi attraverso il quale si identificano gli abitanti della valle, considerato come qualche cosa di specifico, di proprio, è quindi una lingua non pura e sconfina in quelle utilizzate dai vicini. È la lingua familiare, la lingua dei sentimenti, la lingua in cui si pensa, è considerata la propria lingua, la lingua in cui ci si identifica, dove si ritrovano le radici. Molti affermano che sia un idioma da salvaguardare, da proteggere, poiché rappresenta l’identità valposchiavina. La lingua rispecchia infatti la cultura di un determinato gruppo, è lo specchio delle proprie ideologie, della propria visione del mondo. Il dialetto valposchiavino è un idioma semplice, che ricorda un passato contadino, rurale, ma che è stato adattato alla cultura attuale della valle, a una realtà caratterizzata da un ceto contadino in minoranza e da un ceto medio che lavora soprattutto nel settore secondario e terziario e che inserisce quindi all’interno della lingua termini italiani, tedeschi e inglesi. Il pus’ciavin, infatti, non conosce certi termini specifici, tecnici. Questi vengono quindi cercati in lingue altre e inserite a piacimento nei discorsi. Avviene però anche il contrario: spesso nei discorsi in italiano, non trovando un termine corrispettivo, vengono presi in prestito dal dialetto espressioni o modi di dire. Il dialetto è quindi il mezzo attraverso il quale molti abitanti della valle si riconoscono in un’identità specifica, quella valposchiavina, che non è italiana, non è svizzera tedesca e nemmeno romancia. Molti lo considerano la propria lingua madre, usando per l’italiano termini come “lingua straniera”. L’italiano, a volte, è quindi visto come una lingua altra, la “buona lingua”, la lingua degli italiani. Nella maggior parte delle famiglie, infatti, si parla dialetto. Attraverso la lingua i genitori trasmettono ai figli la cultura locale. È visto come un tratto distintivo della propria identità e la scomparsa del dialetto sarebbe probabilmente sentita come una perdita delle proprie origini. Il voler difendere a tutti i costi la propria lingua, è un modo per differenziarsi dagli altri, considerati diversi, i quali hanno un'altra cultura e un’altra lingua. Il poschiavino non è però soltanto un tratto distintivo verso l’esterno: chi parla un determinato dialetto mostra infatti la propria identità specifica, il proprio villaggio di origine e la propria religione. La lingua con cui ci si esprime diventa quindi un mezzo di riconoscimento. Fino a pochi anni fa esisteva una grossa differenza, soprattutto a Poschiavo, anche tra il linguaggio usato dai protestanti e quello usato dai cattolici. Soprattutto in passato, inoltre, il poschiavino aveva pure una funzione integrativa: chi non parlava il dialetto non era infatti parte del gruppo, in quanto considerato diverso. Attualmente, per il numero sempre maggiore di matrimoni misti con persone provenienti dalla Valtellina, specialmente nel comune di Brusio, si parla sempre più italiano. Rispetto al passato si utilizza quindi meno dialetto. Probabilmente in Val Poschiavo il dialetto sopravvive[22] per la vicinanza con culture altre a nord e per un confine politico a sud. Esiste infatti una forte necessità, a livello di gruppo, di differenziarsi dagli altri, e il dialetto sembra avere questo compito. La funzione e la sopravvivenza di questo idioma sono quindi da attribuire al fatto che la popolazione della valle voglia mantenere la propria identità e voglia differenziarsi sia dall’italiano a sud, parlato da milioni d’individui, che dal tedesco e dal romancio a nord. La Val Poschiavo, inoltre, è una valle abbastanza isolata con un unico sbocco verso sud e un valico a nord. Il dialetto vive quindi in uno spazio ben delimitato e abbastanza separato.
L’italiano è la lingua scritta che si apprende a scuola e con la quale generalmente si comunica molto raramente, anche se ufficialmente, come già affermato, è la lingua madre dei valposchiavini. Si parla questa lingua con chi non conosce il dialetto, quindi con persone che parlano italiano in famiglia, oppure con chi proviene da fuori. Viene inoltre utilizzata nei momenti ufficiali. È quindi una lingua importante, intellettuale, formale, tecnica. È difficile tracciare un confine netto tra l’italiano e il dialetto. Generalmente si può però parlare di una lingua orale, informale, affettiva, per quanto riguarda il dialetto, e di una lingua ufficiale e scritta per l’italiano.
Il plurilinguismo svizzero e il pluriculturalismo ad esso correlato comportano una necessità, soprattutto per le minoranze, di comprensione linguistica. I valposchiavini sono quindi obbligati a conoscere la lingua e la cultura del vicino, il tedesco, definita quale lingua del pane, idioma necessario a causa della dipendenza economica da questa regione. In quanto minoranza la valle deve inoltre sottostare alle decisioni prese dalla maggioranza, di lingua tedesca. Si vengono quindi a creare delle gerarchie linguistiche in un contesto che dovrebbe essere trilingue e quindi egalitario. Per soddisfare le esigenze dettate dalla politica e dall’economia, la scuola, quale luogo di preparazione alla vita soprattutto professionale, deve quindi adattarsi introducendo, anticipando, potenziando quelle lingue che servono maggiormente. Oltre alle lingue nazionali i valposchiavini sono tenuti quindi ad apprendere anche la lingua inglese, lingua internazionale di grande importanza, dovendo quindi rinunciare alla conoscenza del francese, il cui apprendimento, nelle scuole grigionesi, è diventato facoltativo. Molti vedono questa lingua come un pericolo per la coesione nazionale, altri come un accesso al mondo globalizzato. Dall’utilizzo della lingua italiana e di un idioma locale come il dialetto poschiavino, e dall’apprendimento della lingua del vicino e lingua nazionale, il tedesco, si passa ad una lingua internazionale, tralasciando un’altra importante lingua svizzera, il francese, passando quindi dal locale quasi direttamente al globale.
[1] Attuale capitale del Canton Grigioni.
[2] L. BOSCHINI, “Tracce di storia e di architettura della Valposchiavo”, ed. Pro Grigioni Italiano, Poschiavo 2005, p. X-XI.
[3] O. LARDI, S. SEMADENI, “Das Puschlav, Valle di Poschiavo”, ed. Verlag Paul Haupt Bern, Bern 1994, p. 117.
[4] Gli abitanti della Val Poschiavo risiedono in due comuni: quello di Poschiavo (3393 abitanti) e quello di Brusio (1199 abitanti). I dati qui presentati sono dell’ottobre 2006.
[5] Nella valle la maggior parte della popolazione lavora nel secondario e nel terziario, pochi nel primario.
[6] La valle, si trova, come già affermato, incastonata tra le montagne.
[7] Nel Canton Grigioni i bambini iniziano a frequentare la scuola dell’obbligo a sette anni e la terminano a quindici.
[8] I valposchiavini emigrarono dapprima, a cavallo del ‘700, verso Bergamo, Brescia e Venezia come scaricatori di porto, calzolai, spazzacamini e acquavitai. Più tardi, da fine ‘700 fino agli inizi del ‘900, la valle fu di nuovo teatro di forti emigrazioni. Soprattutto i protestanti si recarono verso la Spagna e la Francia, ma anche verso altri Paesi, come ad esempio la Polonia e la Russia, per aprire delle pasticcerie che fungevano pure da caffé. I cattolici, invece, si recarono in Australia per lavorare come tagliaboschi. Molti valposchiavini emigrarono pure in Inghilterra e Austria.
[9] Si intende la maggior parte degli intervistati durante il lavoro di campo e dei partecipanti del forum sull’identità del sito www.ilbernina.ch. Il lavoro di campo è stato svolto dalla sottoscritta nel 2006 attraverso l’osservazione partecipante e la somministrazione di numerose interviste semi-libere.
[10] In Svizzera, a causa del quadrilinguismo, la lingua non è, come nella maggior parte dei Paesi, il mezzo attraverso il quale tutti i cittadini si identificano nella propria nazione. Di fronte a un Paese pluriculturale e quadrilingue, la tendenza è quindi quella di identificarsi nel locale, e non nel globale. Molti si sentono svizzeri perché amano i valori sui quali è costruita la Svizzera: quindi sull’uguaglianza, sul buon funzionamento dello Stato, sul benessere in generale, sulla solidarietà, sulla protezione della natura ecc. Molti si identificano nella Svizzera anche e soprattutto in quanto la considerano un Paese che rispetta le minoranze. Il mezzo attraverso il quale ci si identifica non è quindi una lingua, una cultura, una religione, ma la legge che rispetta le varie lingue, religioni e culture del Paese. L’identità svizzera è multiculturale e plurilinguistica anche per l’alto numero di stranieri residenti nel Paese. Nelle interviste svolte durante il lavoro di campo ritorna sempre la definizione della Svizzera come una Willensnation, una nazione retta dalla volontà dello stare assieme. Esistono quindi diverse identità svizzere: è difficile parlare di un’unica identità, anche se, alcuni, definiscono l’identità elvetica come la somma di tutte le culture che contiene.
[11] La Val Poschiavo è infatti parte sia del Grigione italiano che della Svizzera italiana, ma anche all’interno di quest’ultima si trova in posizione subordinata.
[12] Difficile definire la cultura valposchiavina in quanto, come tutte le culture, non è pura. Si potrebbe dire, ad esempio, che è legata al territorio, quindi ad un ambiente di montagna; a una religione cattolica e protestante; alla lingua italiana e al dialetto locale. Questo però non sarebbe mai sufficiente a definire questa cultura che viene continuamente influenzata dall’esterno. Elencare ciò che la differenzia da quelle con cui confina è altrettanto arduo. Si potrebbe forse affermare che è diversa da quella valtellinese in quanto i vicini sono prevalentemente cattolici; oppure in quanto questi ultimi erano parte di un Regno. Rispetto all’Engadina si potrebbe dire che la maggioranza protestante possa essere un elemento che non accomuna.
[13] U. FABIETTI, “L’identità etnica. Storia e critica di un concetto equivoco”, Carocci editore, Roma 2005 (1995).
[14] Ibidem, p. 21.
[15] La maggior parte degli abitanti della Val Poschiavo parla il dialetto locale, conosce perfettamente, o quasi, l’italiano. Molti sanno parlare e scrivere abbastanza bene il tedesco, alcuni conoscono il francese e l’inglese.
[16] La lista degli elementi esterni che sono entrati nella cultura valposchiavina sono infiniti. Una cultura non può però mai essere definita pura. Come afferma Amselle, esistono infatti dei continui collage di collages precedenti. J.-L. AMSELLE, “Connessioni”, ed. Bollati Boringhieri, Torino 2001, p. 8.
[17] J.-L. AMSELLE, op. cit., pp. 7-10.
[18] Oltre alla già citata associazione culturale Pro Grigione italiano, esistono anche mezzi attraversi i quali i valposchiavini possono sentirsi parte di un’unica comunità. È il caso, ad esempio, dei Pus’ciavin in Bulgia, associazione dei valposchiavini emigrati, e della loro rivista, al Fagot; dei due giornali locali, uno cartaceo, Il Grigione italiano, e l’altro on-line il Bernina; oppure della rivista culturale della Pgi, Quaderni grigionitaliani; o dell’Almanacco del Grigione italiano.
[19] Con questo termine si intende la lingua del sostentamento, in questo caso si tratta del tedesco.
[20] La diffusione dell’italiano nella valle avvenne negli anni della Riforma e della Controriforma. Nel Cinquecento, infatti, la Val Poschiavo, come le altre valli grigionitaliane, fu meta di religiosi e laici alfabetizzati che fuggivano per motivi religiosi dall’Italia. Gli esuli adottarono la lingua italiana come lingua franca influendo così sulla lingua dei valposchiavini che, frequentandoli e seguendo le loro predicazioni, ebbero modo di apprenderla. La lettura personale dei testi sacri consigliata dalla religione protestante portò a un avvicinamento ulteriore degli abitanti della valle alla lingua italiana, i quali leggevano i testi italiani portati dai religiosi. L. BOSCHINI, “Tracce di storia e di architettura della Valposchiavo”, ed. Pro Grigioni Italiano, Poschiavo 2005, p. 7.
[21] Il pus’ciavin è una variante del dialetto valtellinese, quindi del meneghino.
[22] In Val Poschiavo, rispetto alla vicina Valtellina, si parla ancora parecchio dialetto. In quest’ultima, infatti, sempre meno giovani lo parlano ed è difficile sentirli esprimersi in dialetto. Secondo molti, sembra sia considerata una lingua da contadini, da poveri e quindi una lingua da non parlare, motivo di vergogna. A partire dagli anni Sessanta, infatti, il benessere economico provocò un cambiamento di registro: non parlare il dialetto era, in un certo senso, dimostrare la non appartenenza al ceto più basso. Questo fenomeno colpì, ad esempio, anche il Canton Ticino e in parte anche la Val Poschiavo, ma in forma molto lieve.
La Val Poschiavo non è sempre stata parte dell’attuale Svizzera. Durante l’epoca romana apparteneva all’XI Regio, dopo il periodo carolingio passò dapprima al vescovo di Como e poi ai Visconti di Milano. Dopo vari tentativi il vescovo di Coira[1] riuscì a sottrarla al Ducato milanese. Nel 1408 la valle entrò a far parte della Lega Caddea: da quel giorno il suo futuro fu principalmente legato alla storia grigionese e quindi svizzera[2]. La Val Poschiavo appartiene quindi soltanto geograficamente e culturalmente alla Valtellina. A partire dalle due guerre mondiali, infatti, con la perdita d’importanza dell’agricoltura, si è sempre più orientata economicamente verso la Svizzera tedesca[3]. È un distretto composto da due comuni, Brusio e Poschiavo, abitato da 4592 abitanti[4]. I posti di lavoro limitati[5], a causa della posizione geografica[6], obbligano i giovani a lasciare la valle per cercare fortuna soprattutto in Engadina, ma anche a Coira o Zurigo o nel resto della Svizzera. Già all’età di quindici anni[7], i ragazzi che scelgono di studiare devono abbandonare la propria casa per recarsi nei licei più vicini che si trovano nella parte tedesca del cantone. Lo stesso avviene per chi vuole apprendere una professione e non trova un’occupazione in valle. Emigrare significa però lasciare la propria famiglia, la propria cultura, il proprio paese, la propria lingua. Arrivare nella Svizzera tedesca corrisponde quindi ad incontrare una cultura altra, una città o una cittadina e quindi uno stile di vita diverso, comunicare in una lingua differente dalla propria. I valposchiavini sono comunque abituati a lasciare la propria casa[8]. Abbandonare la valle ed aprirsi a nuove culture, e quindi anche a nuove lingue, è quindi quasi d’obbligo.
Difficile definire l’identità valposchiavina: la valle si trova infatti tra l’Italia, quindi un’altra nazione, e la Svizzera tedesca e romancia. Soprattutto la parte tedescofona della Confederazione è definita come qualche cosa di completamente altro, diverso; della parte romancia si parla poco, è sentita comunque molto più vicina, per questioni culturali e sicuramente anche di solidarietà tra minoranze.
Spesso l’identità è collegata alla lingua: i valposchiavini non si sentono però italiani nel senso politico del termine, si sentono italiani in quanto di cultura italiana. In Svizzera esistono però molte culture, molte comunità diverse, difficile quindi per i valposchiavini definire cosa siano, al di fuori di valposchiavini. Arduo anche il compito di descrivere l’identità svizzera, composta da svizzeri tedeschi, francesi, italiani e romanci e da una molteplicità di sottoculture: basti pensare alle differenze tra un cantone e l’altro, alla varie religioni, alle differenze tra gli idiomi romanci, ai conflitti tra sud e nord e tra est e ovest, alla periferia e alla città, alla montagna e alla pianura. Conflitti politici, si intende, legati a una lingua e a una cultura diversa che nascondono una differenza di potere. La maggior parte[9] si sente quindi valposchiavina; in seguito svizzera italiana rispetto alla Svizzera tedesca, ma non ticinese; di cultura italiana, ma non italiana; grigionese e svizzera nel senso del rispetto verso le minoranze; svizzera per i valori svizzeri. L’identità a livello di Val Poschiavo, però, sconfina, travalica i confini politici: molti si sentono infatti anche in parte valtellinesi. Identificarsi non significa però orientarsi, essi si identificano maggiormente con la cultura italiana, ma non sono orientati verso l’Italia. Entrano qui in gioco fattori economici e politici. La valle si orienta generalmente a nord, perché è lì che si trovano i grossi centri commerciali e quindi i posti di lavoro ben retribuiti. Il nord è quindi il datore di lavoro. L’Italia, invece, è un altro Paese, ha altre leggi, altre istituzioni. L’appartenenza ad una determinata nazione rende comunque difficile il sentirsi parte di un’altra. Le leggi, la cultura nazionale, sono elementi attraverso i quali gli individui s’identificano, per lo meno in parte, in una nazione. Esiste un senso d’appartenenza al Cantone dei Grigioni e alla Svizzera sempre però in termini di minoranza[10]. La multiculturalità e il plurilinguismo grigionese e svizzero causano questo identificarsi soprattutto in un contesto piccolo, delimitato, quasi isolato. I valposchiavini si sentono quindi soprattutto valposchiavini. Esiste anche un altro motivo per cui l’identità è stratificata, dal locale verso il globale. Questo fenomeno è da attribuire all’avere la Svizzera un sistema federale, dove ogni cantone ha molta autonomia. Difficile quindi identificarsi in un cantone vicino, dove spesso le leggi sono diverse. La consapevolezza, inoltre, di appartenere a una minoranza nella minoranza[11] rende ancora più forte il senso d’identità valposchiavina. Esiste anche un senso d’appartenenza alla Svizzera italiana; la maggior parte, però, non riesce ad identificarsi nei ticinesi, i quali sono visti come diversi. Questo fatto è dovuto alla lontananza geografica dei due cantoni. Esistono anche altri fattori, di ordine soprattutto politico. Il Ticino è un altro cantone, ha quindi la propria autonomia e molte leggi proprie, si differenzia perciò molto da ciò a cui i valposchiavini, in quanto grigionesi, sono abituati. Il Canton Ticino, inoltre, per la sua forza politica ed economica superiore rispetto a quella delle valli grigionitaliane, è sentito come una maggioranza. Emerge di conseguenza il sentimento di inferiorità, dovuto soprattutto al poco coinvolgimento delle quattro valli nelle decisioni prese all’interno della Svizzera italiana. L’identità grigioneitaliana, come già affermato, è percepita apparentemente soltanto nel momento in cui si sente in pericolo.
Spesso l’identità è collegata alla lingua: i valposchiavini non si sentono però italiani nel senso politico del termine, si sentono italiani in quanto di cultura italiana. In Svizzera esistono però molte culture, molte comunità diverse, difficile quindi per i valposchiavini definire cosa siano, al di fuori di valposchiavini. Arduo anche il compito di descrivere l’identità svizzera, composta da svizzeri tedeschi, francesi, italiani e romanci e da una molteplicità di sottoculture: basti pensare alle differenze tra un cantone e l’altro, alla varie religioni, alle differenze tra gli idiomi romanci, ai conflitti tra sud e nord e tra est e ovest, alla periferia e alla città, alla montagna e alla pianura. Conflitti politici, si intende, legati a una lingua e a una cultura diversa che nascondono una differenza di potere. La maggior parte[9] si sente quindi valposchiavina; in seguito svizzera italiana rispetto alla Svizzera tedesca, ma non ticinese; di cultura italiana, ma non italiana; grigionese e svizzera nel senso del rispetto verso le minoranze; svizzera per i valori svizzeri. L’identità a livello di Val Poschiavo, però, sconfina, travalica i confini politici: molti si sentono infatti anche in parte valtellinesi. Identificarsi non significa però orientarsi, essi si identificano maggiormente con la cultura italiana, ma non sono orientati verso l’Italia. Entrano qui in gioco fattori economici e politici. La valle si orienta generalmente a nord, perché è lì che si trovano i grossi centri commerciali e quindi i posti di lavoro ben retribuiti. Il nord è quindi il datore di lavoro. L’Italia, invece, è un altro Paese, ha altre leggi, altre istituzioni. L’appartenenza ad una determinata nazione rende comunque difficile il sentirsi parte di un’altra. Le leggi, la cultura nazionale, sono elementi attraverso i quali gli individui s’identificano, per lo meno in parte, in una nazione. Esiste un senso d’appartenenza al Cantone dei Grigioni e alla Svizzera sempre però in termini di minoranza[10]. La multiculturalità e il plurilinguismo grigionese e svizzero causano questo identificarsi soprattutto in un contesto piccolo, delimitato, quasi isolato. I valposchiavini si sentono quindi soprattutto valposchiavini. Esiste anche un altro motivo per cui l’identità è stratificata, dal locale verso il globale. Questo fenomeno è da attribuire all’avere la Svizzera un sistema federale, dove ogni cantone ha molta autonomia. Difficile quindi identificarsi in un cantone vicino, dove spesso le leggi sono diverse. La consapevolezza, inoltre, di appartenere a una minoranza nella minoranza[11] rende ancora più forte il senso d’identità valposchiavina. Esiste anche un senso d’appartenenza alla Svizzera italiana; la maggior parte, però, non riesce ad identificarsi nei ticinesi, i quali sono visti come diversi. Questo fatto è dovuto alla lontananza geografica dei due cantoni. Esistono anche altri fattori, di ordine soprattutto politico. Il Ticino è un altro cantone, ha quindi la propria autonomia e molte leggi proprie, si differenzia perciò molto da ciò a cui i valposchiavini, in quanto grigionesi, sono abituati. Il Canton Ticino, inoltre, per la sua forza politica ed economica superiore rispetto a quella delle valli grigionitaliane, è sentito come una maggioranza. Emerge di conseguenza il sentimento di inferiorità, dovuto soprattutto al poco coinvolgimento delle quattro valli nelle decisioni prese all’interno della Svizzera italiana. L’identità grigioneitaliana, come già affermato, è percepita apparentemente soltanto nel momento in cui si sente in pericolo.
I valposchiavini si identificano come tali in opposizione agli altri, ritenuti diversi in quanto parlanti lingue diverse o aventi culture altre[12]. Le differenze sentite come determinanti per creare un confine tra il “noi” e “gli altri” sono però spesso esaltate o, come afferma Fabietti[13], possono essere anche inventate. La cultura valposchiavina è una cultura che ha subìto e subisce continui influssi esterni: da sud, quindi dall’Italia, e da nord, dalla Svizzera romancia e tedesca. Molte tradizioni, molti usi, sono infatti di provenienza esterna. L’identità deve quindi essere continuamente riaffermata e rielaborata in base a cambiamenti imposti sia dall’esterno che dall’interno. Esiste quindi un continuo “processo di produzione dell’identità”[14] frutto di una negoziazione del gruppo. L’identità è infatti in continuo mutamento, nel tempo e nello spazio.
La situazione linguistica[15] della Val Poschiavo è analizzabile soltanto nel contesto plurilinguistico e multiculturale svizzero di cui è parte. La lingua, essendo parte della cultura di un gruppo, è lo specchio di esso. Il senso di appartenenza a un determinato luogo e la lingua ad esso legata vengono percepiti come incontaminati da elementi non autoctoni, anche se in realtà la cultura e il dialetto contengono molte caratteristiche della lingua e cultura tedesca, italiana e romancia[16]. I valposchiavini, di fronte a tutte le minacce che incombono sulla cultura locale, e di fronte a una progressiva omogeneizzazione delle culture[17], esaltano e proteggono la propria[18]. La situazione linguistica è quindi descrivibile da un lato in termini di identificazione nella propria lingua madre, lingua legata ad un determinato spazio, ad una determinata cultura; dall’altro nella necessità di conoscere lingue e culture altre per poter sopravvivere, quindi di apprendere una lingua del pane[19]. La lingua madre della valle è, ufficialmente, l’italiano[20]. Essa non corrisponde però alla lingua maggiormente utilizzata, la quale non è una lingua ma un idioma, considerato lingua dei sentimenti e quindi lingua spontanea: il dialetto poschiavino[21]. L’italiano è quindi usato soltanto nei momenti ufficiali, nelle scuole, in forma scritta e solo in piccola parte in forma orale, e viene definita in questi termini non potendo chiamare lingua il dialetto. Soprattutto nei dialetti del comune di Poschiavo si possono trovare diversi termini tedeschi o romanci, fenomeno dovuto alla vicinanza con le regioni parlanti queste lingue e causato dal fatto che molti valposchiavini lavorano in queste zone. Il dialetto, uno degli elementi attraverso il quale si identificano gli abitanti della valle, considerato come qualche cosa di specifico, di proprio, è quindi una lingua non pura e sconfina in quelle utilizzate dai vicini. È la lingua familiare, la lingua dei sentimenti, la lingua in cui si pensa, è considerata la propria lingua, la lingua in cui ci si identifica, dove si ritrovano le radici. Molti affermano che sia un idioma da salvaguardare, da proteggere, poiché rappresenta l’identità valposchiavina. La lingua rispecchia infatti la cultura di un determinato gruppo, è lo specchio delle proprie ideologie, della propria visione del mondo. Il dialetto valposchiavino è un idioma semplice, che ricorda un passato contadino, rurale, ma che è stato adattato alla cultura attuale della valle, a una realtà caratterizzata da un ceto contadino in minoranza e da un ceto medio che lavora soprattutto nel settore secondario e terziario e che inserisce quindi all’interno della lingua termini italiani, tedeschi e inglesi. Il pus’ciavin, infatti, non conosce certi termini specifici, tecnici. Questi vengono quindi cercati in lingue altre e inserite a piacimento nei discorsi. Avviene però anche il contrario: spesso nei discorsi in italiano, non trovando un termine corrispettivo, vengono presi in prestito dal dialetto espressioni o modi di dire. Il dialetto è quindi il mezzo attraverso il quale molti abitanti della valle si riconoscono in un’identità specifica, quella valposchiavina, che non è italiana, non è svizzera tedesca e nemmeno romancia. Molti lo considerano la propria lingua madre, usando per l’italiano termini come “lingua straniera”. L’italiano, a volte, è quindi visto come una lingua altra, la “buona lingua”, la lingua degli italiani. Nella maggior parte delle famiglie, infatti, si parla dialetto. Attraverso la lingua i genitori trasmettono ai figli la cultura locale. È visto come un tratto distintivo della propria identità e la scomparsa del dialetto sarebbe probabilmente sentita come una perdita delle proprie origini. Il voler difendere a tutti i costi la propria lingua, è un modo per differenziarsi dagli altri, considerati diversi, i quali hanno un'altra cultura e un’altra lingua. Il poschiavino non è però soltanto un tratto distintivo verso l’esterno: chi parla un determinato dialetto mostra infatti la propria identità specifica, il proprio villaggio di origine e la propria religione. La lingua con cui ci si esprime diventa quindi un mezzo di riconoscimento. Fino a pochi anni fa esisteva una grossa differenza, soprattutto a Poschiavo, anche tra il linguaggio usato dai protestanti e quello usato dai cattolici. Soprattutto in passato, inoltre, il poschiavino aveva pure una funzione integrativa: chi non parlava il dialetto non era infatti parte del gruppo, in quanto considerato diverso. Attualmente, per il numero sempre maggiore di matrimoni misti con persone provenienti dalla Valtellina, specialmente nel comune di Brusio, si parla sempre più italiano. Rispetto al passato si utilizza quindi meno dialetto. Probabilmente in Val Poschiavo il dialetto sopravvive[22] per la vicinanza con culture altre a nord e per un confine politico a sud. Esiste infatti una forte necessità, a livello di gruppo, di differenziarsi dagli altri, e il dialetto sembra avere questo compito. La funzione e la sopravvivenza di questo idioma sono quindi da attribuire al fatto che la popolazione della valle voglia mantenere la propria identità e voglia differenziarsi sia dall’italiano a sud, parlato da milioni d’individui, che dal tedesco e dal romancio a nord. La Val Poschiavo, inoltre, è una valle abbastanza isolata con un unico sbocco verso sud e un valico a nord. Il dialetto vive quindi in uno spazio ben delimitato e abbastanza separato.
L’italiano è la lingua scritta che si apprende a scuola e con la quale generalmente si comunica molto raramente, anche se ufficialmente, come già affermato, è la lingua madre dei valposchiavini. Si parla questa lingua con chi non conosce il dialetto, quindi con persone che parlano italiano in famiglia, oppure con chi proviene da fuori. Viene inoltre utilizzata nei momenti ufficiali. È quindi una lingua importante, intellettuale, formale, tecnica. È difficile tracciare un confine netto tra l’italiano e il dialetto. Generalmente si può però parlare di una lingua orale, informale, affettiva, per quanto riguarda il dialetto, e di una lingua ufficiale e scritta per l’italiano.
Il plurilinguismo svizzero e il pluriculturalismo ad esso correlato comportano una necessità, soprattutto per le minoranze, di comprensione linguistica. I valposchiavini sono quindi obbligati a conoscere la lingua e la cultura del vicino, il tedesco, definita quale lingua del pane, idioma necessario a causa della dipendenza economica da questa regione. In quanto minoranza la valle deve inoltre sottostare alle decisioni prese dalla maggioranza, di lingua tedesca. Si vengono quindi a creare delle gerarchie linguistiche in un contesto che dovrebbe essere trilingue e quindi egalitario. Per soddisfare le esigenze dettate dalla politica e dall’economia, la scuola, quale luogo di preparazione alla vita soprattutto professionale, deve quindi adattarsi introducendo, anticipando, potenziando quelle lingue che servono maggiormente. Oltre alle lingue nazionali i valposchiavini sono tenuti quindi ad apprendere anche la lingua inglese, lingua internazionale di grande importanza, dovendo quindi rinunciare alla conoscenza del francese, il cui apprendimento, nelle scuole grigionesi, è diventato facoltativo. Molti vedono questa lingua come un pericolo per la coesione nazionale, altri come un accesso al mondo globalizzato. Dall’utilizzo della lingua italiana e di un idioma locale come il dialetto poschiavino, e dall’apprendimento della lingua del vicino e lingua nazionale, il tedesco, si passa ad una lingua internazionale, tralasciando un’altra importante lingua svizzera, il francese, passando quindi dal locale quasi direttamente al globale.
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[1] Attuale capitale del Canton Grigioni.
[2] L. BOSCHINI, “Tracce di storia e di architettura della Valposchiavo”, ed. Pro Grigioni Italiano, Poschiavo 2005, p. X-XI.
[3] O. LARDI, S. SEMADENI, “Das Puschlav, Valle di Poschiavo”, ed. Verlag Paul Haupt Bern, Bern 1994, p. 117.
[4] Gli abitanti della Val Poschiavo risiedono in due comuni: quello di Poschiavo (3393 abitanti) e quello di Brusio (1199 abitanti). I dati qui presentati sono dell’ottobre 2006.
[5] Nella valle la maggior parte della popolazione lavora nel secondario e nel terziario, pochi nel primario.
[6] La valle, si trova, come già affermato, incastonata tra le montagne.
[7] Nel Canton Grigioni i bambini iniziano a frequentare la scuola dell’obbligo a sette anni e la terminano a quindici.
[8] I valposchiavini emigrarono dapprima, a cavallo del ‘700, verso Bergamo, Brescia e Venezia come scaricatori di porto, calzolai, spazzacamini e acquavitai. Più tardi, da fine ‘700 fino agli inizi del ‘900, la valle fu di nuovo teatro di forti emigrazioni. Soprattutto i protestanti si recarono verso la Spagna e la Francia, ma anche verso altri Paesi, come ad esempio la Polonia e la Russia, per aprire delle pasticcerie che fungevano pure da caffé. I cattolici, invece, si recarono in Australia per lavorare come tagliaboschi. Molti valposchiavini emigrarono pure in Inghilterra e Austria.
[9] Si intende la maggior parte degli intervistati durante il lavoro di campo e dei partecipanti del forum sull’identità del sito www.ilbernina.ch. Il lavoro di campo è stato svolto dalla sottoscritta nel 2006 attraverso l’osservazione partecipante e la somministrazione di numerose interviste semi-libere.
[10] In Svizzera, a causa del quadrilinguismo, la lingua non è, come nella maggior parte dei Paesi, il mezzo attraverso il quale tutti i cittadini si identificano nella propria nazione. Di fronte a un Paese pluriculturale e quadrilingue, la tendenza è quindi quella di identificarsi nel locale, e non nel globale. Molti si sentono svizzeri perché amano i valori sui quali è costruita la Svizzera: quindi sull’uguaglianza, sul buon funzionamento dello Stato, sul benessere in generale, sulla solidarietà, sulla protezione della natura ecc. Molti si identificano nella Svizzera anche e soprattutto in quanto la considerano un Paese che rispetta le minoranze. Il mezzo attraverso il quale ci si identifica non è quindi una lingua, una cultura, una religione, ma la legge che rispetta le varie lingue, religioni e culture del Paese. L’identità svizzera è multiculturale e plurilinguistica anche per l’alto numero di stranieri residenti nel Paese. Nelle interviste svolte durante il lavoro di campo ritorna sempre la definizione della Svizzera come una Willensnation, una nazione retta dalla volontà dello stare assieme. Esistono quindi diverse identità svizzere: è difficile parlare di un’unica identità, anche se, alcuni, definiscono l’identità elvetica come la somma di tutte le culture che contiene.
[11] La Val Poschiavo è infatti parte sia del Grigione italiano che della Svizzera italiana, ma anche all’interno di quest’ultima si trova in posizione subordinata.
[12] Difficile definire la cultura valposchiavina in quanto, come tutte le culture, non è pura. Si potrebbe dire, ad esempio, che è legata al territorio, quindi ad un ambiente di montagna; a una religione cattolica e protestante; alla lingua italiana e al dialetto locale. Questo però non sarebbe mai sufficiente a definire questa cultura che viene continuamente influenzata dall’esterno. Elencare ciò che la differenzia da quelle con cui confina è altrettanto arduo. Si potrebbe forse affermare che è diversa da quella valtellinese in quanto i vicini sono prevalentemente cattolici; oppure in quanto questi ultimi erano parte di un Regno. Rispetto all’Engadina si potrebbe dire che la maggioranza protestante possa essere un elemento che non accomuna.
[13] U. FABIETTI, “L’identità etnica. Storia e critica di un concetto equivoco”, Carocci editore, Roma 2005 (1995).
[14] Ibidem, p. 21.
[15] La maggior parte degli abitanti della Val Poschiavo parla il dialetto locale, conosce perfettamente, o quasi, l’italiano. Molti sanno parlare e scrivere abbastanza bene il tedesco, alcuni conoscono il francese e l’inglese.
[16] La lista degli elementi esterni che sono entrati nella cultura valposchiavina sono infiniti. Una cultura non può però mai essere definita pura. Come afferma Amselle, esistono infatti dei continui collage di collages precedenti. J.-L. AMSELLE, “Connessioni”, ed. Bollati Boringhieri, Torino 2001, p. 8.
[17] J.-L. AMSELLE, op. cit., pp. 7-10.
[18] Oltre alla già citata associazione culturale Pro Grigione italiano, esistono anche mezzi attraversi i quali i valposchiavini possono sentirsi parte di un’unica comunità. È il caso, ad esempio, dei Pus’ciavin in Bulgia, associazione dei valposchiavini emigrati, e della loro rivista, al Fagot; dei due giornali locali, uno cartaceo, Il Grigione italiano, e l’altro on-line il Bernina; oppure della rivista culturale della Pgi, Quaderni grigionitaliani; o dell’Almanacco del Grigione italiano.
[19] Con questo termine si intende la lingua del sostentamento, in questo caso si tratta del tedesco.
[20] La diffusione dell’italiano nella valle avvenne negli anni della Riforma e della Controriforma. Nel Cinquecento, infatti, la Val Poschiavo, come le altre valli grigionitaliane, fu meta di religiosi e laici alfabetizzati che fuggivano per motivi religiosi dall’Italia. Gli esuli adottarono la lingua italiana come lingua franca influendo così sulla lingua dei valposchiavini che, frequentandoli e seguendo le loro predicazioni, ebbero modo di apprenderla. La lettura personale dei testi sacri consigliata dalla religione protestante portò a un avvicinamento ulteriore degli abitanti della valle alla lingua italiana, i quali leggevano i testi italiani portati dai religiosi. L. BOSCHINI, “Tracce di storia e di architettura della Valposchiavo”, ed. Pro Grigioni Italiano, Poschiavo 2005, p. 7.
[21] Il pus’ciavin è una variante del dialetto valtellinese, quindi del meneghino.
[22] In Val Poschiavo, rispetto alla vicina Valtellina, si parla ancora parecchio dialetto. In quest’ultima, infatti, sempre meno giovani lo parlano ed è difficile sentirli esprimersi in dialetto. Secondo molti, sembra sia considerata una lingua da contadini, da poveri e quindi una lingua da non parlare, motivo di vergogna. A partire dagli anni Sessanta, infatti, il benessere economico provocò un cambiamento di registro: non parlare il dialetto era, in un certo senso, dimostrare la non appartenenza al ceto più basso. Questo fenomeno colpì, ad esempio, anche il Canton Ticino e in parte anche la Val Poschiavo, ma in forma molto lieve.
1. Immagine della Val Poschiavo (foto di Michela Nussio)
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