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Il "Diario" di Bolzon presentato a Castelfranco Veneto



Presentazione* del “Diario” di don Olivo Bolzon

Quello che abbiamo tra le mani e che presentiamo stasera sembra un libro esile, dalla copertina muta, come si dice in gergo, uno di quei libri che quasi scompaiono in uno scaffale zeppo di libri patinati dalle copertine rutilanti di colori e ammiccanti nei titoli.

In questo piccolo e sobrio oggetto le pagine occupate dal “Diario” di don Olivo sono un macigno che colpisce la coscienza di ogni uomo e donna che non sia insensibile a questa testimonianza di vita dentro la storia recente dell’umanità e della Chiesa. Un macigno strano, tuttavia, che colpisce e comprime ma che allo stesso tempo obbliga ad interrogarci, a rialzare la testa e riconoscere quale e quanta pressante attualità si possa leggere nell’esperienza di don Olivo, spazzino per due mesi a Colonia nel 1964.


Alla fine della lettura, ho avuto netta la sensazione di una sorta di discesa negli inferi, illuminata, devo aggiungere, da squarci di straordinaria umanità e illuminata - anche se sembra un paradosso, ma io ritengo non lo sia - da una forza interiore che solo una fede nutrita dall’incontro con uomini, non importa di che provenienza o nazionalità, non importa di quale cultura, di quale moralità, ma pur sempre uomini, con le loro storie, con le loro passioni, il loro profondo e talora singolare senso della famiglia, ma, soprattutto, con i loro diritti e la loro inderogabile dignità di persone.


Gli uomini che don Olivo incontra a Colonia sono gli stessi uomini che noi incontriamo nei Vangeli, gli stessi uomini che Cristo ha incontrato, non scegliendo tra giusti e prostitute, tra infingardi e uomini del tempio.


Questa, credo, in massima sintesi, sia stata la sfida o meglio la missione di don Olivo a Colonia. Come bene ha scritto Marisa Restello nell’ampia e imprescindibile introduzione, quella di don Olivo è stata la missione di un prete-operaio germogliata all’interno di un percorso che la Chiesa, prima in Francia e poi anche in Italia, nel secondo Dopoguerra, ma in particolare a seguito delle aperture del Concilio Vaticano II, aveva avvertito indispensabile, anzi centrale nella sua dimensione autenticamente missionaria: non più, come scrive Marisa Restello, «una Chiesa come piramide gerarchica, ma una comunità […], non più una Chiesa che alza un predeterminato muro tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, ma che nutre il più profondo rispetto per la persona che lavora e la sua creatività».


Per interpretare compiutamente questa nuova visione della Chiesa, era necessario andare incontro agli uomini nel loro mondo, e non attenderne l’arrivo nei propri recinti; era necessario, prima di ogni altro annuncio, portare un messaggio di libertà vera, di libertà interiore, un messaggio di valori umani e morali, di dignità della persona. Un messaggio e una testimonianza che si confrontassero sui piani propri di chi viveva un’esperienza di distacco dalla propria terra, dalla propria famiglia; un messaggio e una testimonianza di solo apparente materialità nel terreno degli uomini incontrati: il terreno del lavoro, del denaro guadagnato, del senso della famiglia, del valore della sessualità, del rispetto dell’altro.

Tutto ciò avveniva per una semplice ragione che, credo, sia il fondamento della storia e dell’attività pastorale di don Olivo, tanto complessa e impegnativa qui, nel Veneto, e in mezzo mondo, e nella quale una svolta fondamentale ebbe l’incontro con il vescovo ausiliare di Lione, mons. Ancel. Questa semplice ragione mi pare di vederla nella consapevolezza che ogni uomo e ogni donna, prima che cristiani e credenti, sono esseri umani, sono persone e non individui, e come tali possono accogliere e vivere l’annuncio cristiano se sperimentano, in profondità, la loro dimensione di esseri pensanti, liberi e dotati di capacità critica, di soggetti responsabili e non oggetti passivi nelle relazioni sociali ed economiche. Queste persone è andato ad incontrare don Olivo a Colonia. Don Olivo consegnatario di quella che, ancora Marisa Restello, definisce «l’eredità della travagliata e splendida storia dei preti-operai in Francia per il crescente bisogno di evangelizzazione di una realtà sociale in grande cambiamento anche in Italia». A Colonia, don Olivo è andato come emigrante ed operaio, a convivere con altri emigranti ed operai, siciliani o marocchini, non importa, a condividere con loro le mille fatiche e le umiliazioni della quotidianità, a condividere con loro uno dei lavori più umili che si possano immaginare: spazzare le strade. Umiliato, don Olivo, anche nel suo essere prete, nel non poter celebrare ogni giorno la Messa, nel vedersi chiudere la porta del vicariato di Colonia, eppure nutrito dalla preghiera e dalle lettere di S. Paolo.


A Colonia, don Olivo ha vissuto la terribile esperienza della distanza che separava, lui prete e la Chiesa di qualche decennio fa, dal mondo del lavoro, del lavoro degli ultimi, ultimi in tutti i sensi, emigrati e spaesati, ammassati come bestie in un edificio abitato da 130 persone, poveri materialmente e talora poveri dentro.


“Prete povero per i poveri e tra i poveri”: questo è stato don Olivo nelle lunghe ed interminabili settimane passate a Colonia. Scrive don Olivo degli scopi che l’hanno portato a questa esperienza: «Desideravo da molto tempo vivere con intensità la preghiera, la mia unione con Cristo […] nel pieno dell’umanità, soprattutto dell’umanità più povera e abbandonata».


«Vivere insieme agli uomini - prosegue don Olivo - soffrire insieme le stesse difficoltà, assumere il più possibile le loro preoccupazioni, non allontana dalla preghiera, non distacca da Cristo, anzi rende la vita più spessa, più concreta, più impegnata non solo nella parte intellettuale, ma anche affettivo-esistenziale». Nel “Diario” vi è poi un passo che chiarisce ancor più lo spirito della missione di don Olivo: «E’ fuori di dubbio che questa non è azione, è testimonianza diretta, non è evangelizzazione, ma pre-evangelizzazione, non è semina, ma preparazione alla semina […]; si tratta solo di rendere evidente che il cuore della Chiesa pulsa in realtà al ritmo del cuore dei più poveri, dei più abbandonati, che la Chiesa non ama il privilegio del potere, ma l’onore del servizio».


Parole, queste, scritte oltre quarant’anni fa ma il cui suono assordante si propaga con forza più che mai oggi. Ripenso alle parole pronunciate da Paolo VI la notte del Natale 1968 al Siderurgico di Taranto, ricordate e riprese da Carlo Silvano nella Nota editoriale al libro, parole profetiche nella loro purtroppo straordinaria attualità: «Noi facciamo fatica parlavi - diceva Paolo VI rivolgendosi agli operai di Taranto - noi avvertiamo la difficoltà a farci capire da voi. O noi forse non vi comprendiamo abbastanza? […] Ci sembra che tra voi e noi non ci sia un linguaggio comune. Voi siete immersi in un mondo, che è estraneo al mondo in cui noi, uomini di Chiesa, invece viviamo. Voi pensate e lavorate in una maniera tanto diversa da quella in cui pensa ed opera la Chiesa! […] Perché noi tutti avvertiamo questo fatto evidente: il lavoro e la religione, nel nostro mondo moderno, sono due cose separate, staccate, tante volte anche opposte […]. Noi, Papa della Chiesa cattolica - conclude Paolo VI - come misero, ma autentico rappresentante di quel Cristo, della cui natività noi questa notte celebriamo la memoria, anzi la spirituale rinnovazione, siamo venuti qua fra voi per dirvi che questa separazione fra il vostro mondo del lavoro e quello religioso, quello cristiano, non esiste, o meglio non deve esistere».


Nella consapevolezza espressa da Paolo VI e nella speranza unita alla volontà di superare la separazione tra Chiesa e mondo del lavoro, va inalveato il percorso di don Olivo. Quello che dovemmo chiederci oggi, e questo libro in questo senso rappresenta un messaggio chiarissimo di sorprendente attualità, è se, dopo Colonia, dopo tante altre esperienze di don Olivo e di tanti altri di preti-operai, la Chiesa sappia oggi parlare ai lavoratori, se sappia interloquire con le nuove forme di lavoro, con le precarietà infinite, se di giovani e meno giovani riconosca le fatiche, se sappia riconoscere le nuove povertà, e non solo quelle materiali, se sappia riconoscere come fratelli i siciliani e i marocchini di Colonia negli immigrati di tante nazionalità, lingue, culture e religioni, che vivono e lavorano in mezzo a noi; in poche parole se, la Chiesa, non ritenga di dover ripensare a quanto testimoniato da don Olivo e da altri suoi confratelli e quelle esperienze attualizzare veramente, con linguaggi nuovi e testimonianze autentiche, nelle tante Colonie che, oltre quarant’anni dopo, sono presenti nella nostra società contemporanea, qui nel cosiddetto Nord-Est e nell’Italia intera.


Giacinto Cecchetto
direttore della Biblioteca Comunale di Castelfranco Veneto



* Teatro Accademico di Castelfranco Veneto, 8 novembre 2007 - ore 20.30.
1. nella prima foto: il sindaco Maria Gomierato con don Olivo Bolzon.
2. nella seconda foto: i relatori intervenuti alla presentazione del libro. Da sx verso dx: Luisa Bordignon (poetessa), Carlo Silvano (curatore della collana "Questioni di identità"), Maria Gomierato (sindaco di Castelfranco Veneto), Olivo Bolzon (autore) e Giacinto Cecchetto (direttore della biblioteca comunale di Castelfranco Veneto).

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